La formula che recitava la sicurezza da Washington, l’economia da Berlino, l’energia da Mosca non esiste più.
In meno di un mese la Casa Bianca ha ribaltato decenni di relazioni atlantiche con le risoluzioni di Bruxelles liquidate come velleità (se pensiamo all’integrità territoriale dell’Ucraina), Putin reintegrato nel ruolo e Zelensky degradato a dittatore e comico mediocre.
Cosa possa rimanere in vita della Nato e del mondo di ieri si fatica anche solo a immaginarlo, mentre la diplomazia più avveduta già ragiona su una riapertura di credito alla Cina.
Resta un fatto in sé.
Che questa destra non è più la “mucca nel corridoio”, ma un “cavallo di Troia” che aggredisce le democrazie dall’interno (spesso, dal governo) nel segno di un nuovo ordine globale.
In questo cambio d’epoca fa impressione la distanza profonda tra la potenza (finanza scienza tecnologia) e il potere (espressione della politica).
Quella sintesi impietosa di qualche anno fa (i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione) si può tradurre così: i miliardari comandano, gli autocrati obbediscono, i politici continuano ad andare in televisione.
Se questo è il cambio di scena noi abbiamo un traguardo che è vincere le prossime elezioni.
E un compito che è attrezzare contenuti e alleanze per riuscirci.
In questo senso è andato il nostro recupero di un profilo netto su sanità, salari, protezione per i più deboli.
È stato importante perché la questione sociale (intesa come diritti collettivi e cittadinanza delle fasce escluse) è sempre di più una nuova enorme questione morale dove al centro vi sono la libertà e la dignità della persona.
Penso che la crisi delle democrazie stia in questo: come si può restituire a milioni di donne, uomini, giovani, il controllo sulle proprie vite.
Credo lo si possa fare solo mescolando una dose di radicalismo nel progetto e di moderazione nelle alleanze.
Lo dico malamente perché il tempo è poco, ma lo dico così.
In questo Paese la sinistra non ha avuto solo l’ambizione di cambiare la politica: ha sempre creduto che il traguardo fosse incidere sulla realtà del mondo.
E allora, il tema che abbiamo davanti è come tornare a essere lo strumento di una “grande causa”.
Perché solo a quel modo ti contrapponi alla rinascita dell’incubo nazionalista.
Se di fronte a quello che sta accadendo, noi non restituiamo alla sinistra una diversa prospettiva della storia, il pericolo è apparire un “residuo” di un altro tempo e di un’Europa che non ci sarà più.
Non è facile perché abbiamo davanti una società che somma rancori, sospetti, persino odi feroci.
Ma è qui che bisogna essere moderati, nel senso di tessere alleanze oltre i confini della sinistra.
E insieme, radicali nel senso di collocare su basi nuove lo sviluppo storico del paese.
Difendere le persone difendendo la democrazia.
In fondo fu quello che fecero nell’immediato dopoguerra quando la domanda era ricostruire le risorse materiali – il tessuto sociale di un’Italia che il fascismo aveva distrutto – e nello stesso tempo scrivere una nuova Costituzione.
Non si vota domani, forse tra due anni e mezzo.
Quindi tutto questo lo dobbiamo fare col coraggio di ripensare caratteri, cultura, base sociale del primo partito della sinistra.
Penso che serva una grande discussione: senza primarie di mezzo, senza liste da comporre, senza rendite di posizione da presidiare.
Serve un appello all’Italia indignata, ma che non si è ancora piegata.
A coscienze, magari confuse, ma non ancora sconfitte.
Serviranno le piazze e luoghi dove comprendere la natura di questa rivoluzione in atto.
E servirà anche qualche eresia sulle troppe certezze del passato.
Quando ho visto il video di Gaza (coi dollari a pivere dal cielo in una terra massacrata) ho ripensato alla frase che un vecchio comunista, verso la fine della vita, indirizzò a un vecchio militante azionista.
“Dobbiamo chiederci – gli scriveva – perché quando vediamo che la religione colonizza qualunque altro campo della vita umana, la chiamiamo teocrazia…
quando vediamo che la politica colonizza ogni altro campo della vita umana lo chiamiamo assolutismo…
mentre se la legge del denaro tenta di colonizzare ogni altro campo della vita umana la chiamiamo libertà”.
Infine, personalmente voterò Sì ai 5 referendum.
Ho sempre pensato che quella riforma fosse sbagliata.
Non sarà una campagna facile, ma è giusto farla.
Nel ‘900 la sinistra ha interpretato le classi, lo Stato, il conflitto capitale-lavoro, la lotta per uscire dalla miseria ed è riuscita a far divenire quegli obiettivi senso comune, suscitando convinzioni, lotte, speranze.
Oggi questo è ciò che ancora ci manca, e questo dobbiamo riuscire a fare.
Avrebbe detto quel vecchio dirigente: restituire alla sinistra il sentimento di una funzione storica offrendo alla politica una dimensione completamente nuova.
La verità è che non c’è sinistra senza una grande ambizione e una visione ambiziosa del mondo.
Valeva ieri per chi ci ha preceduto.
Mai come adesso, vale oggi per noi.
Gianni Cuperlo