Per l’opposizione si dovrebbe lavorare a una soluzione condivisa
Nelle ultime settimane le sale cinematografiche della Capitale sono finite nel mirino della destra al governo della Regione Lazio. Nella proposta di legge 171, infatti, sono previsti interventi che di fatto escludono ogni possibilità di riapertura di quelle già inattive e incentivano la chiusura di quelle ancora aperte.
Spazi storici
Tra serrande abbassate, spazi abbandonati e vecchie proprietà pronte a vendere al miglior offerente la giunta regionale a guida Rocca ha deciso di cedere spazi storici e di fondamentale valore culturale e sociale alla speculazione.
E nel passaggio in commissione urbanistica la proposta è stata, se possibile, ulteriormente peggiorata: per i 30 cinema della capitale attualmente chiusi sarà infatti possibile il cambio di destinazione d’uso dopo soli sette anni, riducendo la precedente finestra temporale fissata a dieci. Per quelle ancora in attività, gli anni passano da 15 a 10.
«In questo modo – ha dichiarato il capogruppo Pd Mario Ciarla – non soltanto i cinema chiusi non riapriranno più, ma di fatto si incentiva la chiusura di quelli aperti».
Soluzione condivisa
Per l’opposizione si dovrebbe lavorare quindi a una soluzione condivisa. L’idea è quella di consentire la trasformazione e il cambio di destinazione d’uso non dopo 7 anni dalla chiusura ma dopo 15 per le sale già chiuse e da 10 a 20 anni per quelle aperte. Una discussione aperta che non potrà non vedere il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati a partire dal Comune di Roma.
Per come è scritta oggi la proposta della destra, con la previsione di un cambio totale di destinazione d’uso, l’acquisto delle sale cinematografiche potrebbe infatti far gola soprattutto ai grandi fondi che potrebbero avere interesse a trasformarli, come si teme e come in alcuni casi è già accaduto, in centri commerciali e luoghi avulsi da ogni finalità e interesse pubblico.
Primi frutti
Anzi l’humus politico da cui essa proviene sta già dando i suoi frutti. Lo dimostra la conclusione dell’asta giudiziaria a fine gennaio per l’assegnazione di nove sale cinematografiche del gruppo Ferrero finite nelle mani di due gruppi finanziari olandesi, per un investimento di circa 40 milioni di euro. Fra queste anche l’Adriano di Piazza Cavour, uno dei cinema più famosi di Roma e luogo storico della capitale. Il rischio è quindi che anche le sale tuttora aperte possano essere acquistate oggi in previsione del futuro cambio di destinazione domani.
Le proteste
Molte le proteste provenienti dal mondo del cinema e della cultura. Attori e registi importanti, da Carlo Verdone a Paola Cortellesi, passando per Pierfrancesco Favino, ma anche esponenti della produzione cinematografica come Federica Lucisano, Ad della Lucisano Media Group, hanno lanciato un appello affinché il pericolo di desertificazione culturale possa essere scongiurato: «Chiediamo con forza che le istituzioni competenti pongano un freno a questo sciacallaggio immobiliare e adottino misure concrete per salvaguardare il patrimonio cinematografico nazionale».
Riscrivere le regole
Anche le opposizioni hanno chiesto di essere ascoltate e coinvolte nella riscrittura di regole che impattano così fortemente sul tessuto culturale del territorio. Il Partito Democratico ha avviato una mobilitazione con il sit-in davanti al cinema Barberini seguito da banchetti in tutta la città. Inoltre il gruppo regionale ha lanciato una campagna di affissioni con mille manifesti che recitano “I cinema di Roma meritano un finale diverso. No alla trasformazione in centri commerciali voluta dalla destra di Rocca”.
Positivamente è stata accolta l’apertura da parte del presidente Rocca alle istanze finora pervenute dal mondo del cinema. Anche lui deve essersi accorto che la proposta portata avanti dalla sua maggioranza non può che essere ridiscussa.