Bracciano ha avuto, fra le sue attività, una cartiera ancora esistente, almeno come struttura, ma invisibile per chi non ne conosca la storia che, grazie a Massimo Mondini, presidente della associazione “Forum Clodii”, vogliamo illustrare.
Nel 1696 il feudo di Bracciano, fu acquistato da Livio Odescalchi, grazie alla fortuna immensa che aveva ereditato alla morte dello zio Innocenzo XI, una fortuna che impiegò per il potenziamento degli opifici presenti e la realizzazione di una nuova cartiera.
Per il loro funzionamento, Livio fece progettare e realizzare un acquedotto, i cui resti sono tutt’ora visibili. Sarà però l’erede, Baldassarre Erba Odescalchi, a portare a termine i lavori della cartiera che comincerà a funzionare nel 1724, dando impiego ad oltre 100 operai specializzati, per produrre carta di alta qualità. La cartiera proseguirà la produzione per oltre un centinaio di anni, divenendo la seconda più importante nello Stato pontificio, grazie anche all’ammodernamento dei macchinari con l’utilizzo della “olandese”, una macchina che aumentava di circa 10 volte la produzione di carta.
L’esportazione della “olandese” era vietata per ovvi motivi industriali e, per averla a Bracciano, con finanziamenti più o meno leciti, Livio II Odescalchi, erede di Baldassarre, coinvolse funzionari, ambasciatori, servizi segreti, contrabbandieri, così, grazie a spionaggio e tangenti, la macchina fu costruita di nascosto in Belgio, e, pezzo pezzo, fu trasportata via mare da Amsterdam a Civitavecchia e poi via terra a Bracciano per non pagare le imposte di dazio. Ai loschi mezzi per avere la “olandese”, si aggiunsero i loschi traffici del contrabbando per avere la materia prima, ora necessaria in maggior quantità: per avere carta di qualità, occorreva utilizzare gli “stracci”, la cui disponibilità era molto limitata. Nel 1803 gli Odescalchi vendettero il feudo di Bracciano alla famiglia Torlonia con la clausola di poterlo riacquistare dopo cinquant’anni. Tuttavia la produzione del ferro e della carta, durante la proprietà Torlonia, era ormai cessata. Ad inizio XIX secolo, la cartiera era dotata di dieci pile e un cilindro, ma tra il 1845 e il 1855 era stata trasformata in mulino per la macinazione dei cereali, in parte ancora funzionante fino all’ultimo quarto dello scorso secolo, ed infine l’edificio divenne abitativo, ospitando appartamenti, come tutt’oggi lo vediamo all’angolo fra via principe di Napoli e via Carlo Marchi.
Riccardo Agresti
Redattore l’agone