«Solo il 28 dicembre eravamo a 6904, ora siamo a 8001! Si registrano ben 1097 operatori sanitari infettati in più. Questo significa oltre 800 infermieri in 24 ore. E poi ci preoccupa non poco la percentuale di aumento dei ricoveri, siamo al 20%, dato che pesa come un macigno insostenibile sulle spalle dei nostri infermieri, alle prese con un fragilissimo sistema sanitario, ingabbiati tra precariato, turni massacranti e carenza di personale che rischia di toccare di nuovo quell’acme di 80-85 mila unità in presenza di una crescita così esponenziale dei ricoveri».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Guai a prendere sotto gamba questa quarta ondata, continua il leader del sindacato. La gravità di una nuova emergenza come quella attuale non si misura solo dal tasso di mortalità del virus, parametro che continuiamo a sentir richiamare costantemente in questi giorni. E’ pur vero che Omicron provoca meno decessi rispetto alle prime variabili, e che il quadro generale della patologia non si compara con quello delle varianti precedenti, ma non vanno sottovalutati quegli effetti che una malattia, una infezione come questa, può comunque generare nell’organismo umano, anche allo stato attuale ed anche andando avanti nel tempo. Vogliamo poi passare un colpo di spugna, continua De Palma, sui recenti dati del Ministero della Salute, che indicano in 14 milioni i malati cronici in Italia?
Siamo di fronte a una cifra considerevole, specchio di un Paese con una bassissima natalità e con una popolazione destinata sempre di più ad invecchiare. Per non parlare degli effetti che Omicron porta sulle nostre vite, a partire dall’economia nazionale. Bene fa la comunità scientifica quando avverte i cittadini sul rischio concreto dei cosiddetti sintomi da “long covid”, ovvero sulla nefasta possibilità che il virus possa comportare l’insorgere di patologie croniche, addirittura anche in chi è asintomatico. D’altronde, siamo di fronte a un nemico invisibile e subdolo, tremendamente difficile da fronteggiare, ancora poco conosciuto, che si presenta al nostro cospetto sempre con nuove armi.
Da una parte ci sono i già citati soggetti fragili che rischiano palesemente di rientrare nella ristretta cerchia dei decessi, dall’altra non possiamo non tenere conto degli effetti temibili del virus, a cominciare da un possibile ricovero che rappresenta pur sempre un trauma per una persona, capace di modificare le proprie abitudini di vita, lavorativa e sociale. Esistono casistiche che ci dicono di sindromi gravi, che nel tempo possono portare a seri rischi per la sopravvivenza. E possono insorgere anche settimane dopo il ricovero, come la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e la sindrome restrittiva polmonare e ancora insufficienze cardiache acute e disturbi della deglutizione. Passiamo poi a piccole patologie che però nel tempo diventano debilitanti e modificano lo status della vita quotidiana del soggetto: secchezza cronica delle fauci, lingua dolorante, dolori articolari, affaticamento, eruzione cutanea e tachicardia. Non dimentichiamoci poi dei della patologie neurologiche che possono insorgere anche in soggetti asintomatici, dalle più gravi alle più lievi ma comunque devastanti per la serenità di tutti i giorni. Le complicanze di natura neurologica possono essere anche post-infettive. In tal caso potrebbero essere correlate agli effetti che la CoViD-19 determina a carico del sistema immunitario. La capacità del virus di danneggiare i neuroni e di indurre infiammazione può quindi promuovere o aumentare il rischio di contrarre patologie neurologiche anche gravi».
De Palma ricorda che gli infermieri, i guerrieri che non si sono mai tirati indietro di fronte al nemico in questi ultimi due anni, secondo quanto è emerso da uno studio osservazionale trasversale, condotto su un campione di 334 operatori sanitari tra cui infermieri, medici, terapisti, scienziati ed amministrativi impiegati presso l’ospedale riabilitativo IRCCS San Raffaele Roma, durante la seconda ondata della pandemia di COVID-19, tra gli operatori sanitari rappresentano la categoria che ha mostrato in modo più tangibile i segni della resilienza, più dei medici. Ovvero ci riferiamo alla capacità di reagire, come fattore protettivo, contro le avversità e lo stress in un frangente particolarmente delicato consentendo di mantenere benessere mentale e salute psicologica. Ma esiste anche il rovescio della medaglia. E’ pur vero che durante la pandemia da Sars-Cov-2, gli operatori sanitari hanno mostrato avere diverse risorse emotive, cognitive e comportamentali, che li hanno aiutati a superare i momenti di maggiore difficoltà. Ma non possiamo dimenticare che gli infermieri sono persone, uomini e donne, e come tali esiste per loro il rischio concreto di sviluppare disagio mentale e psicologico, ovvero condizioni alterate come stato emotivo di frustrazione, senso di impotenza, mancanza di efficacia personale, rabbia con depressione, sintomi e stato di ansia con somatizzazioni, come l’insonnia», conclude De Palma.