Viene da chiedersi se la guerra sarebbe potuta cominciare due anni fa e sia stata rinviata “solo” dalla pandemia. La domanda, tutt’altro che banale, mi è stata rivolta da un universitario che, nel corso di una lezione di tecnica giornalistica, al capitolo su come si “soppesano” le notizie, ha posto l’interrogativo. La risposta è solo nelle menti di chi ha dato il “la” all’invasione russa in Ucraina, e non staremo certo qui a giudicare una catastrofe su cui è stato già detto tutto e di più. Colpisce, in ogni caso, quell’aiuto che è stato offerto alla popolazione in fuga da parte della “gente comune”, mentre da parte delle istituzioni c’è stato il consueto “prendere tempo”. Ci si aspettava un gesto importante per esempio dal calcio, chessò… i club che si tassano per aiutare il popolo ucraino. Macché, si è pensato di far cominciare le partite di pallone con cinque minuti di ritardo, come se lo slittamento di 300 secondi potesse impensierire il signor Putin. Pare una barzelletta, invece è lo specchio di quel che siamo. Non sono mancate, in ogni caso, le iniziative “locali”, la maggior parte delle quali realizzate dalla volontà del popolo. C’è chi si è rimboccato le maniche, ha preparato scatoloni con ogni genere ed è partito coi propri mezzi alla volta di punti d’incontro dislocati in Polonia, in Romania, comunque al confine con l’Ucraina. Dal canto suo la guerra ha fatto passare in second’ordine la questione-virus, ora in tv campeggiano “esperti di politica internazionale”, che hanno dato il cambio ai virologi. Ma è un po’ come il festival di Sanremo, mentre c’era la kermesse canora pareva che il virus fosse stato debellato di colpo. Nessuno parlava più di contagi, mascherine, tamponi e green pass.
Massimiliano Morelli