Al recente meeting dell’amicizia di Rimini il presidente del Consiglio uscente Mario Draghi ha diramato una serie di indicazioni al Paese. Ha snocciolato numeri e obiettivi raggiunti e ha sottolineato l’importanza del Pnrr, strappando alla platea un paio di minuti di appalusi. Poi, senza enfasi e col suo consueto stile british ha chiesto agli italiani di andare alle urne il 25 settembre. Li ha invitati a decidere, a prescindere dall’idea politica che si ha nella testa e dalla scelta delle persone cui affidare il futuro.
Ecco, l’invito al voto. Nel corso di una campagna elettorale dai toni accesi come non mai, l’unico punto d’incontro fra centrosinistra, centrodestra, terzo polo e chi più ne ha ne metta è stato quello del chiedere al popolo di non boicottare le urne. Fra i tanti, Emma Bonino è quella che si è detta molto infastidita del quaranta per cento di italiani che non vota. Una percentuale che, a ragionarci su, rappresenta il vero e proprio partito di maggioranza. Quello dei non votanti, composto da quelli che si sentono esclusi e abbindolati dalla politica, insoddisfatti, non rappresentati.
La storia è vecchia come il cucco, ma al contrario del passato adesso c’è una classe politica (o meglio, una grossa fetta della classe politica) che non soddisfa gli italiani. Nel corso della campagna elettorale, sviluppata più sui social che in piazza, fra le persone insomma, chi ha avuto l’ardire di camminare in strada per parlare con la gente percependo il bisogno di fare qualcosa di diverso, è stato financo minacciato. Luigi DI Maio nella “sua” Napoli, per esempio. Ecco, oltre a invitare gli italiani alle urne, la politica dovrebbe cominciare a interrogarsi sul perché ci sia tanto scollamento fra il Palazzo e il popolo. Gli italiani lo sanno. I politici – certi politici – ancora no.
Massimiliano Morelli