Cosa muove i giovani a partecipare ai Rave Party
Protagonista della recente informazione mediatica che ha riempito trasmissioni televisive, dibattiti e prime pagine dei quotidiani, nonché primo provvedimento del nuovo governo in carica, il rave party ha fatto straparlare di sé nell’ultimo periodo, dando modo a chiunque di saperne un po’ di più sul fenomeno.
Domante lecite
Ma la stragrande maggioranza delle persone che hanno seguito o innescato discussioni e polemiche, hanno mai partecipato a questi festival del limite, maratone di eccessi e provocazioni, amalgama di comportamenti al limite tra legalità e illegalità? Hanno mai visto ragazze e ragazzi finire in coma storditi da alcol e droghe, spettri di sé stessi alla ricerca di un’identità alternativa? E hanno provato a immedesimarsi in quei genitori consci che i propri figli ribelli si stanno concedendo un frammento di anticonformismo tra promiscuità sessuale, gravi carenze igieniche ed eccessi di ogni genere?
In questa sede siamo ben distanti dall’esprimerci pro o contro i rave, ma vogliamo provare a riflettere sulle motivazioni che ne sono alla base e le implicazioni giuridiche, morali, etiche e materiali.
Ruggito di disapprovazione
Come l’etimologia del termine ben dimostra (“raven” in inglese è il termine utilizzato per definire il “parlare incontrollato”) i “rave” esprimono un dissenso di massa, un corale ruggito di disapprovazione per l’ortodossia sociale, richiamando con tam tam carbonari, spesso via social, migliaia di persone che vi accorrono da ogni parte d’Europa per esprimere, ed esprimersi, nelle forme dell’“anti” al ritmo dissennato di musica tekno, acid house o psy-trance sparata ad altissimo volume.
I luoghi individuati per questo genere di manifestazioni sono per lo più aree abbandonate e isolate che diventano il palcoscenico ideale per affermarsi in un’area franca e poter rivendicare il proprio dissenso verso le convenzionali regole sociali, politiche ed economiche, volendo imporre un modo altro di intendere lo spazio pubblico e la proprietà privata.
Sono dei piccoli progetti, in fondo, per costruire in fretta e in gran segreto, prefabbricate cellule di antistato dove, ovviamente, non è ammessa alcuna rappresentanza delle istituzioni tradizionali, men che meno i rappresentanti delle forze dell’ordine.
Cellule all’interno delle quali vengono riscritti leggi e regolamenti, rimodulati i fondamenti della decenza e dei confini cercando di annullare l’individuo a favore di coscienze collettive considerate più poderose e incisive per creare le quali si accede all’abuso di droghe tradizionali e sintetiche, assunte in regimi alimentari precari, con deprivazioni del sonno e prepotenti eccitazioni sensoriali.
Interrogativi
Libertà o libertinaggio, dunque? Può davvero uno Stato civile permettersi di lasciarsi innestare da nuclei cancerogeni all’ordinamento costituzionale e doversi sottomettere a marginali micro colpi di stato, sebbene contenuti nel tempo e nello spazio?
Per i nostri figli, verso i quali provo già una gran vergogna per averli caricati dei nostri debiti che pagheranno domani, auspicherei un Paese dove la libertà di essere possa collimare con quella dell’appartenere e i governi possano concentrarsi su aspetti di ben più alto profilo.
Gianluca Di Pietrantonio
Criminologo forense