Una volta l’insegnante aveva sempre ragione, adesso subisce aggressività e arroganza
Quando si parla di scuola italiana e della sua efficacia, il pensiero corre al passato e pone a confronto due generazioni di studenti. Quelli di ieri che, negli anni ‘70, si ribellarono a un’educazione chiusa e rigida, caratterizzata dall’osservanza delle regole e dal rispetto-timore per l’autorità. Quelli di oggi, che hanno scarso senso di responsabilità, dovere, rispetto: giungono la mattina in classe impreparati e impreparati escono al termine degli studi.
I primi avevano innescato la battaglia culturale del ’68, che produsse potenti effetti: procurò un ribaltone della chiesa cattolica; pose sotto accusa lo Stato e la famiglia, colpevoli di volerli conformare e ridurre all’obbedienza; mise in crisi l’autorità del padre che dettava troppe regole. I secondi hanno persino difficoltà a rimanere tante ore in classe. Vivono senza responsabilità, spalleggiati dai genitori che prima delegano alla scuola la funzione educativa, poi sono pronti a scagliarsi contro i docenti ritenuti responsabili degli insuccessi e dei comportamenti scorretti dei figli. La scuola era in crisi molto prima della pandemia, erano già un problema le aggressioni tra ragazzi per futili motivi, la prostituzione minorile, il numero dei suicidi tra adolescenti, le baby gang capaci di far uso delle armi, la violenza esercitata in casa a danno dei familiari.
Molti insegnanti, maltrattati dagli allievi e dalle famiglie, erano intimoriti dall’aggressività degli studenti. Questi problemi, nel post pandemia, si sono esasperati: c’è chi indirizza all’insegnante insulti e bestemmie, chi gli lancia addosso il cestino, chi gli spara in classe con una pistola ad aria compressa.
Sempre più docenti, si sono sentiti “bruciati dentro” e sono caduti in una forma di disagio psichico definito “burnout”. Sbalordisce che ciò sia accaduto dopo il processo di apertura e democraticità della scuola, in cui i “decreti delegati” del 1974, introdussero la partecipazione dei genitori; dopo la legge sull’autonomia scolastica che nel 2000 concesse autonomia amministrativa, didattica e organizzativa; dopo la “riforma Moratti” del 2003, che ridisegnò i cicli scolastici; dopo la “buona scuola” del governo Renzi che con 8 decreti, a maggio del 2017, rimise al centro il tema dell’autonomia scolastica incompleta.
Io continuo a sperare, non nel varo di nuove leggi, ma in una vera alleanza educativa scuola-famiglia, in cui ciascuno sia in grado di fare la propria parte: i genitori siano consapevoli che spalleggiare sempre i figli, o “forzare” la promozione, nuoce agli stessi che cresceranno senza maturare il senso di responsabilità e di autonomia; i docenti, siano più selezionati, meglio pagati e posti in condizioni di lavorare in serenità.
Anna Maria Onelli