15 Gennaio, 2025
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La violenza giovanile esplode tra i banchi di scuola

Abbiategrasso (Milano), 29 maggio. In un istituto scolastico superiore, un giovane accoltella la sua professoressa di italiano. Dagli psichiatri alla gente comune, molti ritengono che la depressione, gli stati ansiosi e l’incapacità di sopportare una frustrazione, siano esplosi tra gli adolescenti come una conseguenza diretta della pandemia che ci ha privato della normale quotidianità e della vita di relazioni in presenza. Certamente l’isolamento e la privazione hanno esasperato i problemi della violenza giovanile, ma questa era un fenomeno attenzionato e studiato da almeno un ventennio. Droga, alcol e gioco d’azzardo, rapporti sessuali non protetti a tredici anni, omicidi in famiglia o tra amici, suicidi e femminicidi, baby gang e bullismo, giochi mortali, avevano colpito gli adolescenti molto prima del covid. I giovani di oggi hanno caratteristiche comuni a quelli di allora. Esse riguardano la vita di relazione (tendenza a non comunicare, rimuginare in silenzio, sentirsi privi di energia e infelici); i vissuti di ansia e depressione, (che rende nervosi o tristi e pessimisti, non amati, apatici); le difficoltà nell’attenzione e nella riflessione (troppo nervosi per concentrarsi e stare seduti tranquilli, agiscono spesso senza riflettere con conseguenti risultati scolastici scadenti); gli atteggiamenti di devianza e di aggressività, (che li porta a mentire, imbrogliare, litigare e distruggere gli oggetti altrui, disobbedire a casa e a scuola…).
È inquietante il fatto che la violenza sia agita a scuola, dove i docenti sono denigrati, talvolta aggrediti o malmenati dagli alunni o dai loro genitori. Ai legislatori che propongono la presenza dello psicologo negli istituti scolastici vorrei ricordare che tale figura esisteva già 40 anni fa, ma fu soppressa, perché qualcuno la ritenne inutile: nessuno si rivolgeva allo sportello per non subire lo stigma e si sa che i pregiudizi riguardanti la salute mentale sono duri a morire. Mi sembra giusto concedere un sussidio alla famiglia indigente per sostenere le spese di una psicoterapia, ma le famiglie dovrebbero impegnarsi nell’educare i figli con la dovuta autorevolezza e lasciare che gli insegnanti svolgano con serenità la loro professione. Andrebbe detto ai genitori che aggredire un insegnante è sempre un’arma a doppio taglio perché, nell’esercizio delle sue funzioni, è un pubblico ufficiale, ma soprattutto perché i genitori rimarrebbero definitivamente soli in quel processo educativo in cui dimostrano già di aver fallito. Non c’è soluzione: il futuro dell’educazione si gioca solo su un’alleanza scuola-famiglia dove è necessario che ciascuno, con rispetto, faccia la sua parte.
Anna Maria Onelli

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