23 Novembre, 2024
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I grandi maestri: Michelangelo Antonioni

Michelangelo Antonioni nasce a Ferrara nel 1912, consegue una laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli studi di Bologna. Nel periodo degli studi universitari vince un littoriale della cultura e dell’arte e sperimenta il teatro. Negli anni ’50, insieme al maestro Federico Fellini, raccoglie il testimone del cinema Neorealista (sviluppando un percorso autoriale autonomo) e al contempo ne getta le fondamenta, in parallelo a ‘Ossessione’ di Visconti, con quello che fu prima un testo degli anni ’30, sulla rivista Cinema che successivamente approderà a un prodotto audiovisivo nel 1943 diventando documentario. L’opera che verrà distribuita solo nel 1947 restituisce la forte poetica che già allora manifesta la vena sensibile dell’artista data anche dal fatto che Antonioni dipingeva. Dopo Gente del Po e altri due lavori di impronta documentaristica, nella metà degli anni ’40, si trasferisce a Roma dove frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia e lavora alla regia di altri documentari, della durata massima di circa 10 minuti, che venivano proiettati in sala dopo il cine-giornale e prima della proiezione del film a soggetto guadagnando il 3% del lungometraggio che li seguiva (secondo le regole previste dal sistema governativo). Tra gli altri: N.U. –Nettezza Urbana (1948) in cui ritrae la giornata tipo degli spazzini romani dove troviamo già una attenzione ai rapporti nel quotidiano, in particolar modo a quelli di coppia; L’amorosa menzogna (1948) che si sofferma sui divi e dive dell’epoca; Superstizione (1949) tratta della natura antropologica della superstizione nel Lazio osservata con occhio poetico.

Nel 1950 esordisce con un film a soggetto con Cronaca di un amore, ambientato nella Milano borghese, si sofferma sulle parole dette e non dette approfondendo la psicologia e questo prevale rispetto all’azione (caratteristica che accompagna tutto il cinema antonioniano aspetto peculiare anche del cinema di Ingmar Bergmar con cui condividerà una amicizia profonda oltre che il giorno e l’anno di morte). In questo suo primo film troviamo già gli elementi che caratterizzeranno il suo cinema: lo sguardo critico sulla borghesia dalla quale proviene (escluso Il Grido in cui accosta una crisi psicologica ad un operaio, con scarso successo); il porre al centro dei suoi lavori la crisi conseguente al boom economico che crea uno svuotamento di valori cattolico-religiosi per sostituirli con quelli dettati dal capitalismo di matrice americana (il vuoto dentro le apparenze del possedere le cose materiali); il percorso circolare intorno a determinate tematiche.

La tetralogia dell’alienazione composta da L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclissi (1962) è emblematica. In questa trilogia, come in generale nel suo cinema, troviamo una riflessione sulla forma, sulla messa in scena che è centrale nell’espressione della sua poetica. L’estetica espressa attraverso la singola inquadratura o sequenza non è fine a sé stessa: Michelangelo Antonioni rende lo sguardo e il punto di vista politico, vuole disvelare l’inganno e i meccanismi di mistificazione dell’audiovisivo per poter far si che ci si possa difendere. I personaggi femminili per la loro peculiare sensibilità, nel cinema di Antonioni, sono centrali, come sono centrali nella crisi, nell’alienazione (tema che nasce nella scuola filosofica di Francoforte) e nel disagio esistenziale che lui mette in scena. I personaggi femminili, nei prodotti audiovisivi del maestro, non riescono a muoversi nella realtà e non riescono ad avere legami affettivi duraturi poiché vivono alienati in un distacco dalla realtà. Antonioni ha un approccio moderno, il racconto è disgregato e non troviamo più il rapporto di causa-effetto del cinema classico (non più causalità ma casualità senza effetto), la m.d.p. osserva i personaggi che non hanno obiettivi oppure hanno obiettivi che non portano a nulla, senza impatto sul racconto; c’è una dilatazione del tempo in cui quello narrativo coincide con quello reale, c’è l’irruzione dell’immotivato e fatti secondari acquisiscono centralità e viceversa.  Il deserto rosso (1964) viene premiato con il Leone d’oro al Miglior film alla Mostra del cinema di Venezia. Artista internazionale già dal 1966 con Blow up di produzione britannica che gli vale la Palma d’oro al Festival di Cannes in cui si tematizza sullo sguardo e il dispositivo che produce immagini – come la macchina fotografica nello specifico – mostrando più particolari dello sguardo a occhio nudo. Memorabile l’esplosione dei feticci del consumismo e del capitalismo ne Zabrinskie Point (1970) e il long take tra i più famosi della storia del cinema, oltre che per la durata (più di 6 minuti) anche per la tecnica impeccabile con cui viene costruito che fa sembrare che la camera passi attraverso delle sbarre senza stacchi di montaggio, ne The passenger (Professione: reporter, 1975).

Marzia Onorato 

redattrice L’agone 

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