“Le persone che non sanno che cosa rischiano a non accettare quel che la vita gli assegna, quella che essa gli pone come problema e compito, quando impegnano tutta la loro volontà per risparmiarsi il dolore e la sofferenza di cui sono debitori alla propria natura, negano il loro tributo alla vita e proprio per questo vengono portati fuori strada dalla vita stessa. Se non vogliamo immergerci nel nostro destino al suo posto subentra un’altra sofferenza, si sviluppa una nevrosi, e ritengo che la vita che dobbiamo vivere sia meno peggio di una nevrosi. Se proprio devo soffrire sia almeno della mia realtà, una nevrosi è molto più dannata, in generale, una difficoltà pretestuosa, una speranza inconscia di ingannare la vita, di eludere qualcosa.”
Queste parole di C. G. Jung valgono non solo per i singoli, ma anche per le società. Per il bene sociale bisogna dire la verità, anche se è molto sgradevole. E bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia. Spesso non accade, e si paga un prezzo salatissimo: penso al debito pubblico, alle guerre in Ucraina e Palestina, ai migranti, all’intelligenza artificiale, al clima, e potrei continuare. È sul clima che mi voglio concentrare, perché essendomi occupato da sempre di ambiente e di clima è un tema che conosco meglio degli altri.
A marzo scorso è stato pubblicato lo State of the Global Climate 2023 dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), la massima agenzia mondiale per la meteorologia. Il rapporto ha confermato che il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato nei 174 anni di osservazione, con una temperatura media globale di più 1,45 ºC sopra il valore preindustriale. «Non siamo mai stati così vicini al limite di 1,5 ºC previsto dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici», ha dichiarato il Segretario generale dell’OMM Celeste Saulo, «la comunità OMM sta lanciando l’allarme rosso al mondo». 1,5 ºC viene considerato l’aumento di temperatura media globale che, se superato, comporterebbe eventi estremi più frequenti e catastrofici, per cui le misure di adattamento per evitare o almeno mitigare i danni sarebbero più difficili da attuare. E ancora: «I cambiamenti climatici vanno ben oltre le temperature. Quello a cui abbiamo assistito nel 2023, in particolare il calore senza precedenti degli oceani, il ritiro dei ghiacciai e la perdita di ghiaccio marino dell’Antartide, è motivo di particolare preoccupazione». Nel 2023 il contenuto di calore dell’oceano ha raggiunto il livello più alto mai registrato. I tassi di riscaldamento mostrano un aumento particolarmente forte negli ultimi due decenni, e si prevede che il riscaldamento continuerà comportando un cambiamento irreversibile su scale di secoli e millenni. Il Mediterraneo ha registrato ondate di calore marine forti e severe per il dodicesimo anno consecutivo. L’acidità media della superficie degli oceani è aumentata del 26% negli ultimi 150 anni, con valori mai visti negli ultimi 25.000 anni.
A fronte di quanto sopra, mi sembra ovvio che ridurre le emissioni di gas serra sia la cosa più sensata. Chi decide delle sorti dell’umanità non la pensa così: secondo il Global Carbon Budget 2023, elaborato dal Global Carbon Project (GCP), comunità globale di scienziati con lo scopo di pervenire a stime condivise, nel 2023 le emissioni globali di CO2 sono aumentate dell’1,1% rispetto al 2022. La Cina ha incrementato le emissioni del 4%, l’India dell’8,4%. Un mondo al contrario, ma non per le balordaggini declamate dal Generale.
Concentrazioni in atmosfera di CO2 così alte non si vedevano sulla terra da milioni di anni: un novum assoluto nella storia dell’umanità, visto che i sapiens compaiono due-trecentomila anni fa. Poi c’è chi dice e scrive che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, e magari pure che più CO2 nell’atmosfera fa solo un sacco di bene alle piante, e che dunque questa ossessione di decarbonizzarci è una sciocchezza, che ci costerà un sacco di soldi a beneficio dei soliti furbi. A sostenere questo è rimasta qualche “mosca bianca”, in quanto tutta la comunità scientifica è concorde nell’attribuire una responsabilità all’uomo per i cambiamenti climatici in atto, come dimostra anche il Nobel per la fisica attribuito nel 2021, oltre che al nostro Giorgio Parisi per le ricerche sui sistemi complessi, al giapponese Syukuro Manabe e al tedesco Klaus Hasselmann per le ricerche su modelli climatici e riscaldamento globale. Epperò siccome qualche mosca bianca ancora c’è, e fa più rumore di migliaia di mosche nere, sul punto mi permetto di fare qualche considerazione.
È vero che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, le principali cause naturali sono variazioni dell’attività solare, cambiamenti dell’orbita terrestre intorno al Sole e grandi eruzioni vulcaniche: basti pensare ai periodi glaciali e interglaciali, ciascuno di svariate migliaia di anni. In tempi storici Annibale ha superato le Alpi anche grazie al cosiddetto “optimum climatico romano”, un periodo di clima caldo in Europa e nell’Atlantico settentrionale dal 250 a.C. al 400 d.C. circa; approssimativamente dalla metà del XIV secolo alla metà del XIX si è avuta la “piccola era glaciale”, fenomeno che ha interessato, in sequenza temporale, differenti regioni della Terra, tra cui l’Europa nel XVII secolo. Nondimeno un dato scientifico rilevante è che negli ultimi 2000 anni non si rileva alcuna evidenza di un riscaldamento – o raffreddamento – coerente a livello globale in era preindustriale. Sia l’estensione globale che la rapidità di cambiamento sono caratteristiche uniche del nostro tempo. Tra l’altro il riscaldamento recente ha invertito una lenta tendenza al raffreddamento a lungo termine. Altro elemento di rilievo è che il clima dalla seconda metà dell’800 ad oggi può essere riprodotto sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili solo includendo gli effetti antropici, e su questo sono stati assegnati i due premi Nobel di cui sopra.
Questi i fatti. Se qualcuno ha ancora delle perplessità può leggersi il VI Assessment Report dell’IPCC, il principale organismo scientifico internazionale sui cambiamenti climatici. Si tratta di alcune migliaia di pagine corredate da una bibliografia di altrettante migliaia di pubblicazioni scientifiche. Il rapporto di sintesi è stato pubblicato nel 2023.
Adesso passiamo alle chiacchiere, alle narrazioni che vengono propinate all’opinione pubblica.
A conclusione del G7 su clima, energia e ambiente svoltosi a Torino dal 28 al 30 aprile scorso, il quotidiano La Stampa del primo maggio riporta: “Le principali novità della “Carta di Venaria” – come l’ha definita il ministro Pichetto, in omaggio alla Reggia alle porte di Torino che ha ospitato i lavori – sono state salutate come un successo storico dai ministri dell’Ambiente del G7”. Anche la conclusione della annuale conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 28), che si è svolta dal 30 novembre al 13 dicembre 2023 a Dubai, è stata commentata con toni trionfalistici e assertivi: l’incipit della pagina web del Consiglio Europeo sulla COP 28 recita: “La crisi climatica va affrontata adesso. L’UE e i suoi Stati membri hanno assunto un ruolo guida nella conclusione di un accordo globale volto ad aumentare l’ambizione in materia di clima e i finanziamenti per il clima nonché a fissare nuovi obiettivi globali in materia di energia”. Per chi ha lavorato svariati decenni su questi temi è sconfortante sentire questi refrain che nulla hanno a che fare col reale andamento delle cose. Così come non aiuta ad aumentare la consapevolezza della gente, e lo dico con rammarico, se l’esperto di turno quando si trova in un salotto televisivo o radiofonico, alla domanda del giornalista: «Ma siamo ancora in tempo ad evitare la catastrofe climatica?» invece di dire con chiarezza che ci siamo dentro fino al collo, e l’unica è limitare i danni, afferma che «la finestra sta per chiudersi ma non si è ancora chiusa» ecc. ecc. L’effetto di questa condiscendenza alle pressioni del cronista è vellicare il pensiero dominante della gente e della nostra classe dirigente, rafforzando la sensazione che «si può tirare avanti ancora un altro po’, che tanto ci penserà chi viene dopo». So bene – per esperienza personale – che dire le cose come stanno, resistere alle sollecitazioni del giornalista di turno a «vedere il bicchiere mezzo pieno» non è facile, e significa negarsi un altro accesso al salotto televisivo o radiofonico; ma almeno non ci si rende complici nel blandire un’opinione pubblica mantenendola inconsapevole dei reali rischi che si stanno correndo. Rischi connessi a una tragedia planetaria, anche se questa pantomima vista da qualche extraterrestre può apparire una farsa cosmica.
Questa è la situazione, e anche se c’è tanta voglia di girarsi dall’altra parte, perché «questa cosa è brutta, non la voglio vedere», come fanno i bambini, Jung ci esorta a discernere le cose come stanno e agire da subito: la differenza tra chi è consapevole del rischio e chi non lo è, spesso è il discrimine tra la vita e la morte; lo mostrano le terribili conseguenze delle tante calamità “naturali” che con frequenze e magnitudo crescenti ci colpiscono; metto “naturali” tra virgolette perché è un’ennesima menzogna che viene propalata a piene mani: l’insipienza e l’incoscienza dell’essere umano – quando non si tratta di malafede – c’è sempre.
Ciò detto, visto che sul cambiamento climatico noi singoli – ancora una volta contrariamente a quanto ci viene raccontato – possiamo fare ben poco, fino a quando le grandi lobby mondiali dei fossili continuano a dare le carte, non ci rimane che adattarci. Anche su questo c’è poco da stare allegri, in quanto il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che, insieme ad altri volenterosi colleghi, ho esaminato un anno fa circa, è un autentico disastro ( https://www.scienzainrete.it/articolo/piano-nazionale-di-adattamento-ai-cambiamenti-climatici-le-carenze-di-piano-strategico ). A livello della nostra Regione confesso di non sapere cosa si stia facendo sul tema dell’adattamento, ma non sono ottimista, sarei felice se qualcuno mi smentisse. D’altra parte il tema dell’adattamento non può essere gestito da un singolo comune: la scala dei problemi da affrontare va al di là di un territorio municipale, nel nostro caso deve essere considerata almeno l’area vasta che ha i laghi di Bracciano e Martignano come fulcro; inoltre si richiedono competenze e risorse di qualità e quantità tali che è difficile possano reperirsi a livello di singolo comune.
Stando così le cose, visto che le comunità locali sono di fatto lasciate in balìa di loro stesse, è bene che ci rimbocchiamo le maniche per limitare i danni. Se le comunità di questa area di grande pregio naturalistico e paesaggistico, insieme ai propri amministratori, acquisissero la giusta consapevolezza su quello a cui stiamo andando incontro, e decidessero di agire insieme (associandosi o consorziandosi o in qualsiasi altro modo) col fine di mettere in atto azioni efficaci, anche nel lungo periodo, per tutelare per quanto possibile questo prezioso ecosistema dai cambiamenti del clima, anche utilizzando al meglio i finanziamenti nazionali ed europei, rifuggendo da progetti improbabili come “foreste urbane” o piste ciclopedonali che nascono nel nulla e nel nulla finiscono, credo che sarebbe un bel passo avanti per il nostro futuro e per quello dei nostri figli.
Mario Carmelo Cirillo