22 Novembre, 2024
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Le alternative per l’energia: progetti Alternanza Scuola-Lavoro (ASL), gli studenti del Vian di Anguillara incontrano l’ENEA

Energia è un vocabolo di uso molto comune del quale però non si conosce l’esatta definizione; dagli antichi greci ad oggi, filosofi e uomini di scienza affrontano questo tema. Nell’articolo si considerano alcune energie rinnovabili che permettono di garantire una maggiore sostenibilità ambientale

di Sara Cintio, Hristina Micoska, Giulia Morena, Massimiliano Baldinu, Dario Bandach, Lorenzo Michelangeli, Emanuele Petroselli, Oamil Zhupa, Classi IV H e IV I -­‐ Liceo Scientifico Ignazio Vian -­‐ Anguillara Sabazia

Che cos’è l’energia?

Tra i più prolifici ambiti di interesse della speculazione scientifica si annovera certamente la ricerca in campo energetico. Ben pochi sembrano essere i temi che meritino maggiormente l’appellativo di “attuale”, se confrontati con la poliedricità applicativa che tale materia di interesse ha da offrire agli studiosi. Oltretutto, la storia del termine energia è assai antica e complessa; deriva infatti dal greco ἐνέργεια, traendo le proprie origini etimologiche da ἔργον, opera. Durante la lunga odissea che ha condotto alla sua odierna definizione, il concetto di energia è stato largamente utilizzato nella produzione intellettuale di una vasta schiera di pensatori, filosofi e uomini di scienza. Nel sistema proposto da Aristotele, l’espressione ἐνέργεια indicava l’atto, ossia il principio determinante e attuante contrapposto alla potenza (δύναμις). Più precisamente, laddove la potenza indica la possibilità da parte della materia di assumere una determinata forma, l’atto rappresenta la realizzazione di tale capacità. Molti secoli più tardi, il matematico e filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-­‐1716) definì energia l’essenza della monade e la causa intrinseca dei suoi cambiamenti. L’avvento della psicanalisi, sancito dalla produzione di Sigmund Freud, definirà “energia psichica” il sostrato degli aspetti dinamici del comportamento umano. Nonostante il divario cronologico e culturale fra i grandi intellettuali sopracitati, le varie declinazioni del concetto di energia ne anticipano in forma embrionale l’odierna definizione in ambito fisico, ovvero la capacità di un sistema di compiere lavoro. L’approvvigionamento energetico infatti rappresenta uno dei maggiori problemi dell’essere umano sin dalla notte dei tempi: che cos’è il nutrimento, se non un carburante naturale necessario all’organismo al fine di svolgere correttamente l’attività biologica?

Naturalmente, appare chiaro quanto ai nostri giorni la questione sia diventata enormemente più complessa della mera sopravvivenza individuale. La rivoluzione industriale, il progresso tecnologico, le grandi scoperte del secolo scorso hanno permesso all’essere umano di accrescere la propria conoscenza della realtà in cui è immerso, ma al contempo hanno aumentato esponenzialmente il fabbisogno energetico richiesto per il funzionamento dei complessi macchinari di cui disponiamo. E non solo: l’economia industriale fortemente capitalista ha incrementato parimenti la produzione e lo sperpero delle risorse. Risorse tutt’altro che infinite, com’è tristemente noto. Ci si trova, dunque, dinanzi ad un problema di complicata risoluzione. Come provvedere al fabbisogno energetico senza compromettere irreparabilmente il sistema Terra?

Lo sviluppo sostenibile e le energie alternative

Il concetto di sostenibilità è di recente formulazione. Introdotto per la prima volta durante la conferenza dell’ONU sull’ambiente del 1972, è stato necessario attendere ulteriori quindici anni affinché se ne avesse una chiara esplicazione. Nel 1973, la crisi petrolifera scosse l’economia mondiale, poiché a seguito della guerra fra Israele e Paesi Arabi questi ultimi avevano deciso di diminuire le esportazioni di petrolio verso l’Occidente e di aumentarne il prezzo. Diversi Paesi del mondo si trovarono a dover affrontare una grave crisi finanziaria; infatti, come conseguenza dell’impennata dei prezzi del petrolio, si ebbero un aumento dei costi dell’energia e una conseguente inflazione.

La crisi petrolifera del ’73 rappresentò dunque per l’Occidente un’occasione di riflessione sul possibile utilizzo di fonti alternative. Il rapporto Our Common Future, datato 1987 e promulgato dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (Commissione Bruntland), definisce “sviluppo sostenibile” quel genere di sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». A tal proposito, la comunità scientifica mondiale si è mobilitata per individuare nuove fonti di energia denominate alternative. Il concetto alla base di tale ricerca è la sostituzione dei combustibili fossili, risorse primarie non rinnovabili e altamente dannose per gli ecosistemi ambientali una volta trattate, con risorse rinnovabili e pulite. Attualmente, le principali fonti alternative sono state individuate nelle energie solare, eolica, idroelettrica, geotermica e nucleare.

L’energia solare

L’energia solare è l’energia che viene prodotta grazie allo sfruttamento diretto dell’energia irradiata dal Sole sulla Terra, raccolta e accumulata dai pannelli solari. L’energia solare è un’energia pulita e quindi è un’energia rinnovabile. All’interno del sole si verificano continuamente reazioni termonucleari che liberano quantità elevatissime di energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. Sulla terra arriva solo una piccola parte di questa energia radiante, che varia da luogo a luogo a seconda dell’angolo di incidenza, della stagione e dell’ora del giorno.

L’utilizzo di questa fonte energetica presenta sia vantaggi che svantaggi. Uno dei tanti punti a favore è che si tratta di energia pulita. Sfruttando il sole, infatti, l’uso di energia solare non provoca emissioni di CO₂ o di altri agenti inquinanti che influiscono negativamente sull’ozono o provocano l’effetto serra. Se tutto il mondo fosse alimentato con l’energia solare probabilmente non conosceremmo nemmeno il termine “riscaldamento globale”. Un altro vantaggio dell’energia solare è la sua economicità. Per ottenere la materia prima non c’è la necessità di recuperare carbone dalle cave, metano o petrolio dal sottosuolo, o mettere a rischio l’ambiente, la biodiversità o la vita umana. Il suo costo è zero, almeno quando si parla di approvvigionamento. Non sentiremo mai parlare di deforestazione per recuperare materia prima dal sole, né di guerre per accedere alle riserve sotterranee. Quindi oltre che essere pulita, l’energia solare può essere definita pacifica ed economica.

Un altro vantaggio è che l’economicità dell’energia solare è riscontrabile da coloro che la utilizzano. Mentre una centrale a carbone, a gas o con un altro combustibile può essere gestita solo da grandi società, l’energia solare la si può produrre direttamente sul tetto di casa. A fronte di un investimento iniziale si ottengono risparmi in termini di bolletta energetica (perché costa meno o si azzera), e di ritorno dell’investimento, dato che l’energia prodotta in surplus viene reimmessa nella rete elettrica. Infine, non ultimo vantaggio tra quelli elencati è la sua scarsa pericolosità. Si pensi al riscaldamento globale causato dalla combustione di carbone, petrolio e altre fonti fossili, che provoca innalzamento del livello del mare, siccità ed uragani, tutti eventi catastrofici che costano miliardi di euro alle nazioni di tutto il mondo. Questi eventi sarebbero evitati utilizzando l’energia solare. Ancora, la filiera dell’energia solare interessa migliaia di piccole società che lavorano direttamente sul territorio e creano posti di lavoro in tutto il mondo, andando contro il monopolio delle grandi società energetiche. Secondo le statistiche l’energia solare ogni anno crea sette volte i posti di lavoro del gas o del carbone.
Oltre ai vantaggi ci sono però anche alcuni svantaggi nell’utilizzo dell’energia solare. Tra questi il primo e più immediato è che il sole è discontinuo: di notte non produce energia e nei Paesi nordici per molti mesi dell’anno non fa nemmeno capolino. Nei periodi in cui il cielo rimane coperto per settimane o mesi, si registra un calo della produzione energetica, e quindi c’è sempre bisogno di far ricorso ad altre fonti. In altre parole, non è possibile alimentare il mondo solo ed esclusivamente con l’energia solare. A meno che non ci siano grandi batterie in grado di stoccare enormi quantità di energia e rilasciarla gradualmente quando ce n’è bisogno, ma parliamo di costi ancora troppo elevati.

L’energia del sole naturalmente è sostenibile se sfrutta superfici altrimenti inutili, come i terreni incoltivabili o il tetto delle case. Al contrario, sebbene non sia illegale, non ha alcun senso e anzi può risultare dannoso convertire un terreno agricolo in una distesa di pannelli solari togliendo spazio alle coltivazioni,.

L’energia eolica

L’energia eolica è l’energia cinetica prodotta dall’aria in movimento, grazie all’utilizzo di aereogeneratori che producono energia elettrica. E’ una fonte alternativa ai combustibili fossili, rinnovabile e pulita; non produce emissioni di gas serra durante il funzionamento dei macchinari, e generalmente si sviluppa mediante gruppi di mulini con grandi pale, disposti in precise zone definite “parchi eolici”. L’inquinamento è fortemente ridotto, in quanto gli aereogeneratori non consumano carburante e non emettono gas nocivi per l’ecosistema. I mulini a pale eoliche possono essere costruiti anche in aeree marine a basso fondale (dai 5 ai 30 metri), con rese energetiche leggermente superiori rispetto a quelle installate sulla terraferma, giacché a livello del mare i venti sono più forti e costanti. Queste zone marine ricche di aereogeneratori vengono chiamati “parchi eolici offshore” e sono sempre in continua evoluzione: le nuove tecnologie continuano a sperimentare diversi aerogeneratori galleggianti in grado di essere ancorati in zone dove il mare è più profondo di 30 metri. I principali vantaggi dell’utilizzo dell’energia eolica, sono quelli di non produrre inquinamento atmosferico o delle falde acquifere oltre a non comportare l’utilizzo di combustibile. L’energia prodotta viene pertanto definita green energy, ed è meno cara rispetto a quella ottenuta grazie all’utilizzo di carbone fossile o materiale nucleare. È inoltre molto utile poiché la trasformazione di per sé non ha emissioni climalternanti come quelle derivanti dalle trasformazioni di energie chimiche e la produzione è ben più costante rispetto ad altre fonti rinnovabili come il fotovoltaico che può produrre solo di giorno, o l’idroelettrico, che dipende da stagionalità e precipitazioni. Ci sono sicuramente dei punti positivi anche a livello di vita dei macchinari, chiaramente più semplici da smantellare e da riciclare rispetto alle centrali di generazione fossile, malgrado comunque la vita di una turbina sia di 20-­‐25 anni.
Tuttavia, ci sono anche i lati negativi; al primo posto l’inquinamento visivo e acustico, considerati gravi in paesi come il nostro ad alta vocazione turistica; infatti i punti di migliore esposizione al vento sono presso la costa o sulle creste montane, dove la presenza dei mulini eolici impatta sul paesaggio e provoca un rumore sordo e costante di sottofondo, prodotto dagli elementi elettromeccanici e dai fenomeni aerodinamici.

L’energia idroelettrica

L’energia idroelettrica è una fonte di energia alternativa e rinnovabile che sfrutta la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale, posseduta da una certa massa d’acqua ad una certa quota altimetrica, in energia cinetica al superamento di un certo dislivello; tale energia cinetica viene infine trasformata in energia elettrica in una centrale idroelettrica grazie ad un alternatore accoppiato ad una turbina.

Per quanto concerne il bilancio pro/contro, il settore idroelettrico presenta svariati elementi a suo favore. Si tratta di una fonte energetica assolutamente pulita e a emissioni zero. L’ambiente circostante è generalmente pulito e senza nessuna contaminazione dell’aria. I costi dell’energia prodotta si mantengono tra i più bassi e la stessa energia può essere prodotta continuamente in modo del tutto naturale. La realizzazione delle dighe adiacenti alle centrali, inoltre, favorisce il contenimento dell’acqua evitando improvvise inondazioni e regolando il gettito dell’acqua in modo fluido e regolare. Da tenere in grande considerazione è il fattore sicurezza: le centrali possono essere tempestivamente attivate o spente nel giro di qualche minuto, con l’apertura e la chiusura delle chiuse idrauliche. Il sistema permette così anche di coprire senza problemi eventuali picchi nella richiesta di energia dalle zone circostanti. Tuttavia anche alcuni svantaggi sono noti. Una centrale idroelettrica, ad esempio, non può essere costruita se non in siti idonei, in quanto sono necessari elementi contingenti del territorio: la presenza di un fiume di portata sufficiente, la possibilità di creare un invaso artificiale o di far “saltare” l’acqua da altezze consistenti. Un altro ordine di problemi è causato dalla necessità di spazio per la costruzione del complesso diga + centrale idroelettrica. Il sistema infatti ha bisogno di molto spazio e questo può portare alla riduzione o alla scomparsa di habitat adatti alla vita degli animali o di aree agricole utilizzabili dall’uomo (ne è un esempio la più grande diga del mondo: la diga Three Gorges sul fiume Yangtze, nella regione centrale della Cina). Le stesse dighe bloccano anche il trasporto di materiali solidi dei fiumi, come ghiaia e sabbia, alterando il riequilibrio naturale dell’erosione del mare lungo la costa, dando luogo a fenomeni di erosione costiera.

L’energia geotermica

L’espressione “energia geotermica”, secondo l’accezione comune, indica il calore terrestre che può essere estratto e sfruttato dall’uomo. La storia della relazione tra esseri umani e geotermia è lunga almeno cinquemila anni. Secondo l’UGI, Unione Italiana Geotermia, il rapporto delle antiche popolazioni italiche con le manifestazioni del calore terrestre risale al Neolitico medio-­‐superiore (4°-­‐3° millennio a.C.). Vulcani, sorgenti termali e manifestazioni analoghe avevano difatti lasciato intuire che al di sotto della crosta terrestre dovesse essere contenuto del calore. Il primo tentativo di utilizzare l’energia contenuta nel vapore geotermico per la produzione di elettricità risale al 1904, e venne effettuato in località Larderello in provincia di Pisa. La macchina, progettata da Ginori Conti, consisteva in un motore a pistoni accoppiato ad una dinamo azionata dal vapore. Il successo dell’esperimento, durante il quale furono accese ben cinque lampadine, evidenziò la potenzialità dello sfruttamento delle esalazioni geotermiche nella produzione di corrente elettrica a livello industriale. La produzione di energia elettrica a livello industriale iniziò a livello embrionale a Monterotondo Marittimo nel 1916, ma fu solo nel 1958 che venne costruita nella medesima zona la centrale geotermoelettrica dell’Enel, revisionata e potenziata nel 2002. Le centrali di Monterotondo sono sufficienti a coprire il fabbisogno energetico dell’intera provincia di Grosseto. In linea generica, a seconda degli scopi ai quali è destinata l’energia geotermica, si utilizzano fluidi a bassa temperatura (riscaldamento di edifici o di serre) oppure ad alta temperatura (produzione di energia elettrica). Il modo più semplice per suddividere i sistemi geotermici è quello che distingue fra sistemi geotermici ad acqua dominante e sistemi geotermici a vapore dominante. I sistemi geotermici ad acqua dominante sono sistemi la cui temperatura varia tra i 125 e i 225°C. A seconda della loro temperatura e della loro pressione, possono produrre una miscela composta da acqua e vapore. In questi sistemi l’acqua liquida è la fase continua che controlla la pressione. Invece nei sistemi a vapore dominante sono presenti acqua liquida e vapore: quest’ultimo controlla la pressione. Si tratta di sistemi ad alte temperature e, generalmente, producono vapore secco o vapore surriscaldato. Un’altra suddivisione utilizzata frequentemente è di sistemi geotermici dinamici e di sistemi geotermici statici. Nei primi l’acqua ricarica continuamente il serbatoio geotermico, aumenta di temperatura e poi passa in superficie o si disperde nel sottosuolo. Al contrario nei sistemi geotermici statici, la ricarica dei serbatoi è minimale o addirittura nulla. In quanto fonte rinnovabile, l’energia geotermica presenta numerosi vantaggi: in primo luogo, è pressoché inesauribile, e essendo totalmente assente qualsivoglia forma di combustione durante il processo produttivo, non produce né CO₂ né polveri sottili e risulta completamente sostenibile a livello di impatto ambientale. È inoltre sempre disponibile, indipendentemente dall’alternanza giorno/notte e dalle condizioni metereologiche del sito (al contrario, ad esempio, delle energie solare ed eolica, rispettivamente vincolate alla presenza continua di sole e vento). Nonostante le premesse più che ottimali, l’energia geotermica presenta anch’essa alcune “controindicazioni”. Numericamente, dall’attività delle centrali geotermiche proviene soltanto l’1% della produzione mondiale di energia, a causa della difficoltà nell’individuare siti adatti e sorgenti termiche ad una profondità che consenta l’estrazione di vapore. Ulteriori note dolenti sono l’impatto estetico degli impianti (la centrale si presenta come un groviglio anti-­‐ estetico di tubature, problematica risolvibile grazie ad un’opera ingegneristica che tenga conto del buon gusto) e la presenza di odori sgradevoli in loro prossimità. Dalle sorgenti termali, infatti, oltre al vapore spesso fuoriescono anche miasmi sulfurei, facilmente eliminabili grazie agli impianti di abbattimento ma non sempre tollerati dai residenti locali. Di fondamentale rilevanza è anche l’aspetto economico, che non può ovviamente essere tralasciato: Secondo la già citata UGI, il costo di un impianto geotermico è più alto, spesso considerevolmente, di quello di un impianto dello stesso tipo alimentato con combustibili convenzionali. D’altro canto, il costo dell’energia utilizzata da un impianto geotermico è molto più basso di quello dell’energia fornita dai combustibili tradizionali e corrisponde soprattutto ai costi di manutenzione degli elementi dell’impianto. Il bilancio economico non dovrebbe dunque risultare particolarmente svantaggioso.

L’energia nucleare

La produzione di energia a seguito di una reazione nucleare può teoricamente avvenire in due modi: per fissione o per fusione. A livello pratico, tuttavia, soltanto il processo di fissione risulta essere attualmente riproducibile e controllabile sia a livello laboratoriale che su scala più ampia. Il processo di fissione si ottiene quando un nucleo pesante si scinde in due nuclei più piccoli di massa confrontabile. Tale trasformazione può avvenire in maniera del tutto spontanea in particolari atomi instabili (decadimento radioattivo), oppure essere indotta facendo sì che il nucleo da scindere assorba un neutrone e si divida. Ad esempio, quando un neutrone colpisce un nucleo di uranio-­‐235, questo si scinde liberando circa 0,2 GeV di energia e 2 o 3 neutroni liberi, i quali possono innescare numerose altre reazioni in presenza di una grande quantità di uranio. Occorre precisare che la storia del nucleare è decisamente recente: i primi fenomeni fissili realizzati in laboratorio risalgono agli anni 30, e nella maggior parte dei casi si tratta di pure casualità, fissioni realizzatesi nel bel mezzo di esperimenti che miravano a tutt’altro risultato. Correva l’anno 1934: sotto la guida del fisico italiano Enrico Fermi, un gruppo di ricercatori realizzò la prima reazione nucleare controllata della storia. Nel 1938, Otto Hahn e Fritz Strassman furono i primi a dimostrare la possibilità di produrre energia grazie ai fenomeni fissili; in seguito a tale evento, si iniziò a supporre che la fissione potesse essere impiegata a livello pratico in svariati campi, alcuni dagli esiti purtroppo tragici. Soltanto pochi anni più tardi, infatti, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu avviato il Progetto Manhattan, che aveva lo scopo di studiare le possibili applicazioni militari delle recenti scoperte in campo scientifico e nucleare. Com’è tristemente noto, la ricerca ebbe successo, e produsse le bombe atomiche che devastarono le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki (rispettivamente, la Little Boy e la Fat Man). Avvenimenti di una tale portata hanno comprensibilmente fatto sì che una cortina di sospetto e diffidenza calasse sull’utilizzo dell’energia nucleare, intensificata dagli incidenti nei reattori nucleari di Three Miles Island (USA, 1976) e Černobyl’ (URSS, 1986). La Repubblica Italiana, con il referendum del 1987 che ha fatto seguito al disastro ucraino, ha abrogato la legge che consentiva di produrre energia tramite reazioni nucleari di fissione. Tuttavia, in Europa, ci sono circa quattrocento centrali nucleari attive che producono energia tramite reazioni controllate all’interno degli appositi reattori. Per controllare una reazione si agisce sui neutroni liberi, riducendone il numero tramite le cosiddette barre di controllo che assorbono quelli in eccesso. L’energia prodotta dalla fissione è del tutto pulita e non rilascia CO₂ nell’atmosfera. Ogni medaglia ha però due facce, e occorre tenere in considerazione gli svantaggi dell’energia nucleare da fissione. In primo luogo, le scorie sono difficili da smaltire, in quanto il materiale radioattivo presenta tempi di dimezzamento estremamente lunghi. In secondo luogo, le scorte di uranio sono tutt’altro che infinite. E se ci fosse un modo per ottenere la stessa energia di una reazione fissile, o anche di più, ma senza la produzione di scorie o vincoli di risorse? Prima di fornire una potenziale risposta a tale domanda, è necessaria una piccola divagazione teorica sul funzionamento generico del nostro universo per come lo conosciamo. E tenendo uno sguardo verso il cielo, chissà che la risposta non ci arrivi dalle stelle…

Un’energia stellare
Molteplici sono le tipologie di forza presenti in natura, alcune delle quali di recente scoperta. Secondo i fisici moderni, tuttavia, è possibile comprendere l’andamento dei fenomeni naturali ricorrendo a quattro forze fondamentali: la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica (frutto dell’unificazione concettuale delle forze elettrica e magnetica operata nel 1803 dai fisici Michael Faraday e André-­‐Marie Ampère), l’interazione nucleare forte e l’interazione nucleare debole. Al fine della trattazione, saranno tenute in particolare considerazione le ultime due. L’interazione nucleare forte è, per definizione, la forza che tiene unite le particelle che compongono i nuclei atomici; l’interazione nucleare debole, la quale agisce anch’essa a livello atomico, è responsabile di alcuni fenomeni radioattivi ed è coinvolta nei processi termonucleari che avvengono nei nuclei stellari. Secondo la legge di Coulomb, tra particelle elettricamente cariche si esercitano forze attrattive se le cariche sono opposte, e repulsive se la carica è la medesima. Il fatto che il nucleo atomico sia composto da protoni (particelle positivamente cariche) e neutroni (particelle neutre) sembrerebbe quasi una contraddizione. Se si immaginasse di avvicinare tra loro due protoni, giunti alla minima distanza possibile la repulsione avrebbe la meglio e le particelle si allontanerebbero. Tuttavia, se si ipotizzasse di poter esercitare una pressione sufficiente a “convincere” i reticenti protoni ad avvicinarsi appena un po’ di più e superare questa barriera di potenziale, entrerebbe in gioco una forza di gran lunga superiore a quella di Coulomb: la forza nucleare forte, la più intensa tra le quattro fondamentali. Questo processo, durante il quale due nuclei leggeri si fondono in uno più pesante, è detto fusione nucleare, ed è il processo responsabile della nucleosintesi stellare. È proprio nei nuclei delle stelle che, a causa dell’elevatissima temperatura che provoca un esponenziale aumento dell’energia cinetica delle particelle, si formano la maggior parte degli elementi chimici presenti in natura. La reazione di fusione più conosciuta è quella in cui un nucleo di deuterio e uno di trizio, entrambi isotopi dell’idrogeno con rispettivamente uno e due neutroni, si fondono per formare un nucleo di elio secondo la reazione:

²H + ³H → ⁴He (3,5 MeV) + n (14,1 MeV)

Ideologicamente, un reattore a fusione nucleare sarebbe in grado di produrre enormi quantità di energia senza alcun prodotto di scarto né vincoli restrittivi dovuti all’esaurimento delle materie prime. Tuttavia, si dà il caso che la fusione sia estremamente complessa da realizzare in laboratorio, proprio a causa della grande quantità di energia necessaria per attivarla. Nell’Alcator C-­‐Mod del MIT (Massachussets Institute of Technology, Boston, USA), basato sul metodo di confinamento magnetico del plasma, è stato recentemente compiuto un fondamentale passo in avanti nella realizzazione di un reattore a fusione. Secondo quanto riportato dalla sezione online di Focus, è stato stabilito un nuovo record di pressione esercitata sul plasma all’interno del reattore, pari a 2 atm. Affinché la sperimentazione sulla fusione abbia successo, infatti, è necessario escogitare un metodo per sopperire al nostro problema terrestre: la pressione. Per mantenere il plasma confinato e sospeso a mezz’aria nel reattore e far sì che gli ioni collidano, infatti, sono richieste temperature di circa cinquanta milioni di gradi per compensare il fatto che sembri impossibile aumentare in modo significativo la pressione sul plasma. A tal proposito, L’Europa sta costruendo in Francia il reattore ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor): si tratta, come nel caso dell’Alcator C-­‐Mod, di un tokamak, ovvero di una macchina atta a contenere plasma termonucleare ricorrendo ad un campo magnetico per isolarlo dalle pareti con cui non deve assolutamente entrare in contatto. Tuttavia, ITER sarà ottocento volte più grande del suo cugino americano, e in assenza di ulteriori rinvii dovrebbe essere in grado di esercitare 2,6 atm di pressione attorno al 2032. Per quanto ne sappiamo, potremmo essere all’inizio di una svolta epocale non solo per la fisica teorica e sperimentale, ma per l’umanità intera.

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