Nel mese di ottobre, sono ripresi gli incontri con gli esperti nell’ambito del progetto “La Corrado Melone incontra…”, attività consolidata che, ormai da alcuni anni, si svolge nel nostro istituto, e che ha visto numerose personalità avvicendarsi per incontrare gli studenti e parlare con loro. Obiettivo prioritario: avvicinare i ragazzi al confronto con le diverse personalità e le istituzioni che rappresentano, far toccare con mano temi e problemi affinché essi possano accostarsi gradualmente e con una certa dimestichezza alla realtà che li circonda, affrontando, di volta in volta, ambiti culturali sempre diversi ma importanti ed interessanti. Un approccio culturale e di metodo che ha la finalità (insieme alle altre attività dell’offerta formativa della nostra scuola) di allargare le giovani menti, aprirle al valore della cultura e del rispetto, avviarle all’ammirazione per l’arte e per il bello, e prepararle a sviluppare una curiosità intellettuale che porti i nostri allievi non solo alla ricerca di risposte ma anche al desiderio di porre e di porsi sempre delle domande… Ci piace sottolineare che il progetto abbia ottenuto, da qualche giorno, il patrocinio gratuito del Comune di Ladispoli ed il plauso del Sindaco e degli assessori alla Scuola ed alla Cultura.
Dunque, abbiamo incontrato, alcune settimane fa, in sala teatro (in quanto la Sala Consiliare non garantisce la sicurezza) lo scrittore Amedeo Lanucara, già giornalista del “Globo”, “Il Sole 24 Ore”, “Avvenire”, “RAI” ed ex direttore de “La Voce del Cittadino”, oltre che autore del libro “Berlinguer segreto”, che è venuto a parlarci del suo nuovo lavoro, il libro “Belzebù Pezzént”, insieme al suo editore, Leonardo De Sanctis (Fefè Editore, Roma), Giovanni Furgiuele, presidente de “L’Agone Nuovo” e della scrittrice e giornalista Gabriella Maramieri, che alcuni di noi avevano già incontrato lo scorso anno.
Lanucara ha detto, nel corso della presentazione, che forse il suo libro è un po’ complesso: la vicenda narrata si snoda per quasi 700 pagine ed è il frutto di un lavoro di elaborazione durato parecchi anni. Durante l’incontro, lo scrittore ha brevemente spiegato che è ambientato in Italia nella Pasqua del 1984 (con voluto riferimento all’importantissimo libro di Orwell) quando un giornalista parte per la Puglia (dove l’autore è nato) per un servizio giornalistico sulla scomparsa di una bambina e di un senatore corrotto. Quella che sembrava essere un’inchiesta di routine, diviene un incubo fra i misteri politici di una Italia che non ha imparato nulla dal passato. Il libro, ci ha detto, richiama la storia d’Italia affrontando i misteri ed i depistaggi delle stragi, quasi come un “giallo” che attraversa i fatti ed i misteri irrisolti del nostro Paese, sin dalla sua formazione, generati spesso da disinformazioni o di sparizioni di documenti, come, ad esempio, la sparizione della nave che ospitava Ippolito Nievo ed i documenti relativi alle spese della spedizione dei mille che, così, rimane nel buio più assoluto.
Ma Amedeo Lanucara, pur non parlando direttamente del suo libro, stuzzicato dalle domande della Maramieri, lo ha usato come punto di partenza per spiegare come sia importante accogliere ed aiutare chi abbia necessità. In ogni epoca sono esistiti i “belzebù pezzént” che danno il titolo al suo romanzo, persone che vengono ritenute insignificanti, ma che possono rivoltarsi una volta messi alle strette. È sufficiente studiare la storia per rendersi conto che ciò che viviamo oggi con gli immigrati, è accaduto tante altre volte e gli stranieri, i “belzebù pezzént” di oggi, sono stati gli italiani emigranti di ieri. Senza accoglienza e senza lavoro non ci può essere democrazia, la quale esiste solo se c’è rispetto del prossimo. Non bisogna credere, nonostante il progresso tecnologico, che il futuro ci porterà forzatamente il meglio: l’uomo purtroppo non sempre ricorda il passato ed in ogni momento rischia di tornare indietro, per rivivere gli orrori del passato senza rendersi conto che il disastro poteva essere evitato.
Se guardiamo alla situazione attuale, la ragione ci conferma che le cose non vanno bene, ma occorre sempre sperare che l’uomo abbia la forza di cambiare e lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo. La speranza è nei giovani e nella loro capacità di osservare e studiare. Per questo molti vogliono che la scuola non funzioni, che non si spieghi ai ragazzi la storia, che non si soddisfino le loro curiosità e non li si metta a vero contatto con la cultura. La Scuola deve veicolare la cultura per migliorare la formazione dei giovani studenti, che saranno i cittadini che gestiranno il Paese in futuro. Non bisogna mai dimenticare quello che Dante fece dire al suo Ulisse: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza!”.
Un modo per migliorare è quello di leggere, soprattutto leggere bene. Alcuni sono convinti della incapacità dei lettori di oggi di comprendere ciò che leggono, per cui, per vendere, molti libri sono scritti con non più di 500 parole, le più banali (in modo da essere facilmente comprensibile, ed acquistabile, da tutti), ma in tal modo si appiattisce e si desertifica il linguaggio, ma occorre osare e leggere i libri più “difficili”, magari che usino 500.000 vocaboli. Lanucara torna a riflettere su uno dei punti di partenza del romanzo, ambientato nel 1984, anno che è il titolo della famosa opera di George Orwell. In questo libro, l’autore racconta di una dittatura che domina il mondo grazie al fatto che le parole sono state mano a mano cancellate anche dai vocabolari, per cui le persone non riescono nemmeno a descrivere il loro stato di servitù, anzi nemmeno lo comprendono perché incapaci a trovarne le parole. Si è servi perché non si capisce di esserlo e non lo si capisce perché non lo si sa descrivere!
Anche Don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana, spiegava ai suoi allievi che la differenza fra l’operaio ed il padrone risiede nella capacità di parlare: il padrone conosce più parole dell’operaio, è più istruito di lui e quindi vince sempre. Allora la vera rivoluzione, per mantenere o ottenere la libertà, è proprio studiare, conoscere più parole e più lingue. Avere termini per parlare e descrivere è la base per non essere sottomessi da nessuno e vivere liberi.
L’incontro in Sala Teatro con lo scrittore Amedeo Lanucara ci ha dato la possibilità ci conoscere un autore in carne ed ossa, una personalità interessante che parlando del suo libro dal titolo “Belzebù pezzént” ci ha offerto numerosi spunti di riflessione. Egli ha parlato del valore della cultura: per lo scrittore la cultura è potere, la cultura è ricchezza. Senza di essa saremmo tutti schiavi e saremmo sfruttati, perché non potremmo conoscere i nostri diritti e la nostra libertà; perché senza preparazione non potremmo ottenere un lavoro per sostentarci e mantenere la famiglia; senza cultura e senza lavoro non potremmo viaggiare per il mondo perché privi dei mezzi economici e privi della conoscenza delle lingue straniere; senza cultura non potremmo apprezzare nemmeno i monumenti e le città del nostro Paese.
Le sue parole sono state provocatorie: egli ha detto che un libro con soli cinquecento vocaboli si può considerare una truffa; per farci comprendere questo concetto, ha paragonato un libro povero di parole ad una pasta all’amatriciana, senza sugo, senza sale né olio… Una vera delusione. I libri dovrebbero esser scritti con cinquecentomila vocaboli!!! Senza cultura non si sa nulla e non si va da nessuna parte!
Quando lo scrittore ci ha dato la parola, un nostro compagno ha chiesto a Lanucara che cosa è per lui il “bullismo”. La risposta è stata semplice e chiara: una cosa molto brutta, orribile; una forma di violenza e prepotenza verso gli altri, magari più deboli, un atto vergognoso.
Amedeo Lanucara ci ha chiesto se a noi piace leggere, se abbiamo letto dei libri… Ha poi aggiunto che noi siamo ragazzi fortunati, perché andiamo a scuola, anche se a volte, non nascondiamolo, non ci va tanto, soprattutto perché dobbiamo alzarci presto! Ci ha ricordato, infatti, che fino a meno di un secolo fa i bambini non avevano la possibilità di frequentare la scuola; lavoravano nei campi o nelle miniere, sfruttati e anche maltrattati, per pochi centesimi con cui comprare solo un po’ di pane… Ci ha particolarmente colpito sapere che un diritto per noi normale è stato conquistato con tante lotte. Il messaggio ci è arrivato: l’importanza dello studio per tutti i bambini ed i ragazzi, senza differenze tra chi è ricco e chi è povero, tra chi ha difficoltà personali e familiari e chi non le ha, senza discriminazioni religiose o razziali… Noi dobbiamo impegnarci tanto e studiare molto, per cercare di costruire un futuro migliore… In questo percorso gli insegnanti, insieme ai genitori, ci aiutano a crescere, ci fanno capire alcune cose e anche ci fanno comprendere se e dove sbagliamo, ci forniscono degli stimoli.
Insomma, questo primo incontro è stato, forse, un po’ difficile e complicato per noi ragazzi di prima media, al termine del quale siamo arrivati un tantino stanchi ma comunque contenti. Non sappiamo dire se abbiamo capito veramente tutto; alcuni dei personaggi e dei nomi citati dall’autore non li conoscevamo, non li avevamo mai sentiti prima d’ora perché non li abbiamo ancora studiati, ma dobbiamo ammettere che l’esperienza per noi è stata interessante, ci ha incuriosito, ci è piaciuta e ci ha fatto riflettere molto.
Gli alunni della 1M