Ossimori
Come spiegare a nostro figlio quest’ossimoro così complicato anche per noi? Come dirgli che i nonni vanno lasciati soli? Che non bisogna fare visita ai malati? Che è sbagliato vedere gli amici? Che la scuola è un ambiente pericoloso? Che il lavoro non nobilita più l’uomo ma può ucciderlo? Come dirgli che i medici muoiono per curare i malati? Che il parco non è più il luogo giusto per correre? Che non ci si deve più abbracciare e men che meno baciarsi?
E, soprattutto, come si farà poi, quando tutto sarà finito, perché in un modo o nell’altro finirà, a cancellare ogni cosa e ricominciare d’accapo?
Sappiamo tutti che questa cicatrice resterà a lungo nei nostri ricordi, e che in quelli dei nostri figli rimarrà ancora più profonda, indelebile forse. Che bisognerà aspettare mesi prima di tornare ai girotondi, alle biciclette o semplicemente a mangiare un cono gelato lungo la via. Che nelle scuole ognuno avrà la propria penna (guai a metterla in bocca!), il proprio posto (guai a stare troppo vicini!), il proprio bicchiere (guai a condividerne il contenuto!).
Loro, i nostri bambini, con il concetto di tempo ancora astratto, come immaginaneranno il futuro?
E, mi chiedo ancora, che generazione si schiuderà da questa larva malata?
E noi, così smarriti, che madri e padri saremo? Che lavoratori saremo?
E i nostri padri, abbandonati in un letto d’ospedale, quelli sopravvissuti intendo, come ci vedranno? Ci perdoneranno un giorno? O nei loro cuori rimarrà il solco profondo dell’abbandono?
Non so rispondere. L’unica certezza, in questa parentesi piena di ossimori, è che bisogna occupare il tempo a fortificarci per quel che verrà dopo, quando ci sarà da rimboccarci le maniche, raccogliere i brandelli di ciò che è rimasto e ricostruire, pezzo a pezzo, il nostro puzzle, qualunque esso sia.
Vespina Fortuna