L’Agone, grazie al contributo di Psichiatri, psicoterapeuti, psicologi pedagogisti e poeti mette a disposizione una serie di contributi arrivati in questi giorni per creare un piccolo “inserto web” . In queste settimane difficili sta cambiando la storia del mondo contemporaneo, riteniamo quindi indispensabile dare ai nostri lettori spunti di riflessione, informazioni, e supporto, un grazie speciale a chi ha voluto contribuire a questo lavoro ed un saluto affettuoso a chi la leggerà
Il presidente de L’Agone Nuovo Giovanni Furgiuele
COGLI L’ATTIMO
a cura della dottoressa Rosaria Giagu, psicologa, psiconcologa.
Violenza sui generis: la radice arriva molto da lontano, c’è chi ha necessità di esprimere una grande rabbia e non ha nessun filtro nel contenerla e questa è un’analisi abbastanza chiara anche per i non addetti ai lavori; la cosa interessante in realtà potrebbe essere quella di comprendere nella vita delle persone quali sono i ruoli che vengono rivestiti con una maggiore aspettativa sia dalle persone che dalla richiesta che arriva dalla società. Oggi si sta assistendo a quella che viene chiamata una società moderna in “evoluzione”, dove però sembra ci sia stata una grande confusione tra l’intercambiabilità dei ruoli e la correlazione culturale nei sistemi di credenza e valori delle persone: gli stereotipi hanno subito delle deformazioni nel tentativo di diventare più elastici con il risultato che sono diventati qualcosa di informe perdendo senso e armonia.
L’immagine è un poco quella di una statuina disegnata con contorni molto squadrati, che si cerca di modellare al fine di darle una forma più elastica, sinuosa e armoniosa e invece si sforma e si scioglie: io penso che questo fosse indubbiamente il buon intento in una società chiamata all’evoluzione e dunque anche a una revisione dei ruoli, forse in una maniera troppo veloce, che sembra sia schiava di un Kronos, ossia di un tempo che spinge a correre non solo nei faticosi ritmi quotidiani di vita, ma anche nell’evoluzione di stereotipi e ruoli che fin dall’inizio dei tempi hanno definito e distinto la fantastica diversità che, non ci dimentichiamo, permette la compensazione e soprattutto l’unione.
Le diverse forme di violenza
Ci troviamo di fronte a fenomeni di violenza sdoganata che si consuma senza nessun filtro, e questa è purtroppo una reale constatazione: la molla originaria su cui si sviluppano le diverse forme di violenza a mio avviso è sempre la stessa, che poi si “incanala” più propriamente in una direzione piuttosto che in un’altra. Si parla di profili di personalità in uomini in cui emergono tratti distintivi di natura psicopatologica che si correlano con l’espressione violenta e di maltrattamento nei confronti dell’altro sesso.
Premesso che non è proprio una delle mie aree né di ricerca, né di applicazione clinica, indubbiamente esistono dei “pattern” che possono definire e spiegare meglio dal punto di vista psicologico la natura di alcune forme di violenza: ma di fatto la direzione principale si potrebbe definire come una equazione in cui la bontà delle esperienze primarie che una persona può sperimentare nella sua vita sta alla capacità di una società di armonizzare e modificare stereotipi senza sformarli o sfigurarli. Oltre a questa equivalenza che entra in un campo minato sarebbe necessario integrare, per avere una visione d’insieme, quest’analisi non solo dal punto di vista psicologico e sociale ma anche da quello politico e culturale di cui io non ho competenze e capacità per approfondire.
La scelta tra due poli: l’amore e la paura
Di fatto siamo chiamati a una scelta importante dove i due poli sono sempre gli stessi: l’amore e la paura, concetto che si è sviluppato nel tempo nella letteratura della psicologia con l’integrazione di diversi contributi precursori. Tra questi quello psicanalitico di Freud che, se pur non ha mai formulato una teoria delle emozioni, ha inizialmente dato un contributo assumendo come matrice primaria dell’attività psichica le pulsioni di Amore e Odio ( Eros e Thanatos). Si sono avute poi più moderne revisioni, tra le quali si cita ad esempio l’approccio psicologico Bio-energetico in cui si parla dello sviluppo di emozioni con alcune valenze piuttosto che altre (rif. per approfondimenti: Paura di vivere di Alexander Lowen , Astrolabio – Ubaldini Editore, 1982, Roma).
Siamo chiamati a fare un’analisi non solo usando la testa ma anche il cuore; c’è un antico detto che dice che il tempo cura tutte le ferite e io sono d’accordo: è un tempo che si avvicina più a quello che gli antichi greci chiamavano Kairos, ovvero “il momento opportuno”, che può curare ferite profonde e lontane che non hanno permesso a tanti di contattare quella parte di sé in amore. Chi vive dunque nella paura conosce solo una parte della storia: per rendere meglio questa idea l’intera storia immaginatela come una linea retta su cui da una parte c’è l’amore e dall’altra la paura, è un continuum in cui ognuno di noi si sposta a seconda di quello che capita, vive o sperimenta. La capacità di stare ed esistere dipende dalla nostra capacità di muoverci con elasticità su questo continuum e dunque anche il discernimento di sapere cosa alimentare nell’interesse del benessere personale per noi e per gli altri.
La parola chiave è dunque integrazione, nella misura in cui ognuno di noi conoscerà entrambi i poli e sceglierà con consapevolezza quale aspetto alimentare, senza negare l’altro che automaticamente non diventerà più il nostro padrone ma il nostro servitore; altre colleghe in questo particolare tempo hanno scritto articoli molto interessanti sulla paura che ora la vita ci chiede di sperimentare, forse…per darci ancora una volta la meravigliosa possibilità di scivolare sulla nostra dorata linea della vita in un tempo che sa più di Kairos che di Kronos, che ha proprio il sapore, oltre che il significato, di quell’opportunità così bene descritta nel film Carpe diem. Riprendiamoci la nostra vita signori e rimodelliamo le statuine dei nostri stereotipi in modo armonioso e con forme e contorni che siano chiari portatori di vita e di gioia.
Di: Gianluca Di Pietrantonio, criminologo
Da qualche anno collaboro con l’Associazione Lagone mettendo a disposizione la mia esperienza professionale ed accademica relativamente ad alcune tematiche di natura sociale, tra cui il bullismo e il cyberbullismo, prevalentemente proponendo una serie di convegni nelle scuole di ogni ordine e grado.
Gli incontri con i ragazzi, generalmente, si articolano partendo da un’analisi del fenomeno da un punto di vista storico sociale e conoscitivo, per passare attraverso la scomposizione delle ragioni psicologiche che sono alla base degli atteggiamenti prevaricatori, arrivando poi alle conseguenze giuridiche a cui si espone chi tiene determinate condotte caratterizzanti il fenomeno in parola.
Specifico sempre ad ogni incontro con gli studenti, che non sono lì a dirgli cosa devono o non devono fare, ma a condividere con loro la mia esperienza e anni di studio sui comportamenti umani, così da metterli in condizione di conoscere e scegliere consapevolmente le loro condotte.
I ragazzi (senza che a mia memoria si siano mai riscontrate eccezioni) ascoltano con attenzione, interagiscono, fanno domande e talvolta si confidano parlando delle proprie esperienze.
L’apprezzamento dei seminari, oltre che dai ragazzi, è oggettivamente riscontrato dai dirigenti scolastici e dai docenti, che ogni anno ne chiedono la riproposizione.
Ovviamente la sospensione della scuola ha interrotto le interazioni con gli alunni, ma confido che questo spazio possa essere l’occasione per richiamare la loro attenzione in questo letargo forzoso e per raggiungere anche le famiglie con delle informazioni, che seppur distanti da qualsivoglia approfondimento sulla tematica, possano pur sempre tornare utili per qualche riflessione.
Se questo fosse uno spazio di approfondimento sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, non potrei esimermi dal dedicare un’ampia argomentazione relativamente all’importanza del ruolo familiare connesso con determinate espressioni comportamentali.
Ma questo è uno spazio di ragionamento che deve partire dall’assunto che in questo strano periodo di pestilenza moderna, in cui abbiamo riscontrato una fragilità impensabile prima – con l’attività lavorativa e privata e i ritmi di vita totalmente da rimodulare – la rete internet si è rivelata un rimedio straordinario.
Ciò nonostante, una parte della cronaca degli ultimi giorni (quella che viene relegata ai margini delle informazioni relative alla pandemia) ci informa di come siano ancora in troppi ad abusare del web per sfogare forme di frustrazione e violenza insensibili anche alla sciagura e allo stravolgimento causato dallo spietato nemico invisibile.
Ho rilevato che in diversi istituti scolastici, le diverse piattaforme digitali utilizzate con grande impegno da docenti e studenti per sopperire alle lezioni frontali, sono state utilizzate per tenere atteggiamenti spregevoli che hanno spaziato dalle volgarità e gli insulti rivolti ai professori, al disturbo delle lezioni stesse con intromissioni fraudolente, fino ai “tradizionali” atteggiamenti di molestia verso alcuni compagni.
Analoghi atteggiamenti sono stati proposti da inqualificabili individui nelle chat e nei gruppi WhatsApp creati per scopi didattici.
Non entrando nel merito, per motivi di spazio, di come taluni squalificanti comportamenti possano impattare con maggior incidenza sulle sensibilità individuali messe a dura prova in questo periodo per un range di ragioni disparate, ritengo che sia giusto ricordare che in questa fase anomala di didattica a distanza, le norme che puniscono i reati di cyberbullismo non cambiano. Oltre alle violazioni del codice penale (si fa riferimento ai reati di diffamazione (art. 595 c.p.), di molestie (art. 660 c.p) e atti persecutori (art. 612 bis c.p.), restano vigenti le previsioni della Legge 71/2017 (Disposizioni a tutela dei minori perla prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo) con la quale vengono puniti, senza sconti Covid-19, tutti i comportamenti di arroganza virtuale esercitata mediante l’uso di internet e delle tecnologie digitali.
In queste nuove aule virtuali utilizzate per garantire le video lezioni, non cambiano le regole imposte nella vita reale: qualsiasi espressione ingiuriosa o forma di violenza rivolta ai compagni può essere perseguita penalmente e civilmente, previa querela della persona offesa o di un suo legale rappresentante.
Con la trasposizione dal reale al virtuale non cambiano nemmeno le qualificazioni giuridiche: gli insegnanti restano pubblici ufficiali e qualsiasi offesa rivolta loro configura il reato di “Oltraggio a pubblico ufficiale” (art. 341 c.p.).
A tutto ciò si deve mettere in conto il parallelo potere sanzionatorio pertinente alla scuola che va dalla sospensione, alle segnalazioni in condotta fino alla ripetizione dell’anno scolastico.
La norma su richiamata (L. 71/2017) coinvolge a pieno titolo anche le famiglie dei baby prepotenti che sono, peraltro, chiamate a rispondere civilmente dei danni provocati dai figli e ciò in forza di recente giurisprudenza che sancisce che la carenza educativa può trasparire anche da un uso scorretto e non etico delle nuove tecnologie.
Immaginando per un momento di avere di fronte una platea di genitori, suggerirei dunque, di approfittare di questa quarantena interminabile per cercare di conoscere meglio i propri ragazzi, restaurando un rapporto di ascolto empatico con i propri figli, cercando di scorgere negli atteggiamenti più o meno impertinenti, le sottostanti ragioni che li generano.
La concentrazione forzata del nucleo familiare può diventare occasione di presenza, intanto, ma anche di confronto, dialogo, discussione, stimolo; lontani da qualsiasi inflizione sanzionatoria che da sé non è utile, mamma e papà possono raccontarsi e farsi raccontare in uno scambio generazionale che potrà trovare un senso e un profitto nella virulenza che ci ha travolto.
Continuando ad alimentare una parentesi immaginativa, mi avvio alla conclusione di quest’ultimo convegno di fronte a voi ragazzi, intanto augurandovi di sapervi adeguare a questo epocale cambiamento. Siate consapevoli che state scrivendo una pagina di storia e che ognuno di voi è indispensabile affinché possano essere pagine di evoluzione costruttiva.
Oltre ai vostri genitori, solletico, insomma, anche voi ad usare questa claustrale restrizione per considerare come l’inimmaginabile è nel domani e bisogna essere pronti e valorosi a fronteggiarlo. Considerate per un attimo, se non altro, deponendo la vostra baldanza adolescenziale che vi fa sentire invincibili, come il più forte di ognuno di noi è impotente di fronte a un microscopico nemico e che il Covid-19 potrebbe non essere l’ultimo attacco alla nostra serenità.
Di ciò provate a considerare la metafora che forte e debole, bello e brutto, giusto e sbagliato, come ogni opposto, possono invertirsi in un attimo nella nostra impossibilità di impedirlo.
Provate almeno a prendere in esame che oltre il disprezzo c’è l’accettazione, oltre l’odio c’è l’amore, che l’altro siete anche voi per qualcun’altro e soprattutto che solo insieme si può resistere alla tempesta e ci si può rialzare da una caduta rovinosa senza bisogno di essere nè migliori nè peggiori, ma soltanto se stessi.
Concludo rinnovandovi la mia fiducia; so che mi consentirete di lasciarvi con un’esortazione commemorativa di un grande scrittore scomparso di recente, vittima di questo virus, sulla quale rifletterete.
“- Bene, gatto. Ci siamo riusciti – disse sospirando – Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante – miagolò Zorba – Ah sì? E cosa hai capito? – chiese l’umano – Che vola solo chi osa farlo – miagolò Zorba.” ( Luis Sepùlveda).
IORIMANGOINCONTATTO
La “paura” come opportunità trasformativa
A cura della dott.ssa Claudia Cestoni
Psicologa Psicoterapeuta
Esperta in Music-Counseling ed Operatrice in Massaggio Neonatale
Dovunque, in questo momento, leggendo articoli che parlano degli effetti psicologici del Coronavirus, si legge la parola “Paura”. La paura è una delle emozioni fondamentali degli esseri viventi, ci mette in guardia dai pericoli e ci spinge alla sopravvivenza. Paura per qualcosa di sconosciuto che sfugge al nostro controllo e che è strettamente legato alla paura della morte, della finitudine. E’ positivo dunque provare paura? Si, perché ciò ci attiva e ci permette di mantenere il contatto con la realtà e proteggerci. Se al contrario non riusciamo a gestirla, rischiamo di perdere il controllo e il Coronavirus viene percepito come un pericoloso nemico che pervade tutto, rischiamo così di attuare comportamenti impulsivi e sviluppare disagi psicologici che possono compromettere la nostra Salute Psicologica.
“La paura è la base di tutte le risposte dell’ansia”. In questi giorni di ‘quarantena forzata’, nelle nostre case, la paura si presenta come apprensione e tensione causate dal presagio di un pericolo imminente, razionalmente sconosciuto.
In alcuni casi possono insorgere forme di ansia come panico, ansia generalizzata, ipocondria. Quest’ultima, per esempio, è intesa come eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute, in cui ogni minima sensazione proveniente dal nostro corpo viene percepita come sintomo del coronavirus.
“Ciò che ritengo importante per una sana gestione psicologica dell’epidemia da Coronavirus è innanzitutto evitare due errori possibili: ingigantire o negare il problema“. Di seguito alcune indicazioni che ci possono aiutare in questo momento.
Coronavirus e psiche, i consigli dello psicologo:
- E’ importante saper accogliere e accettare la paura e capire cosa ci fa paura di un determinato evento
- E’ importante informarci perché ciò funge da bussola per sapere come poterci orientare, ma limitare la ricerca di informazioni non superando le 2 volte al giorno
- E’ importante sentire il nostro corpo rimanendo in contatto con esso: sento paura, dove la sento, in quale parte del corpo
- E’ importante esprimere le proprie paure condividendole con gli altri, la parola e l’ascolto sono entrambi potenti mezzi di cura
- E’ importante non perdere la propria routine e di conseguenza strutturare le nostre giornate organizzando il tempo per noi e per i nostri figli. Programmare la sveglia, vestirsi comunque anche se non usciamo, ecc.
- E’ importante mantenere i contatti sociali attraverso video-chiamate, social, telefonate ai propri amici, famigliari e colleghi di lavoro
- E’ importante scrivere un diario depositando su di esso paure e riflessioni. Esso rappresenta un valido strumento per contenere l’ansia e dunque de-somatizzare
- E’ importante dare un senso a tutto questo attraverso la propria creatività
Molti dei miei pazienti, amici, genitori, colleghi in questo momento mi dicono che stanno riscoprendo vecchie passioni, ora che si sono fermati stanno prendendo consapevolezza di ciò che hanno trascurato o di ciò di cui hanno veramente bisogno. Chi non giocava più con i propri figli ora si ritrova a creare cartelloni, travestirsi, ritornare un po’ bambino… chi scappava dalla coppia, dai problemi si ritrova in un faccia a faccia con sé stesso e con l’altro e a prendere delle decisioni, e così via.
La Paura è una opportunità. La paura è un inizio, un reset, da cui ripartire per fare qualcosa di diverso. Ripartiamo da noi e diamo un senso trasformativo a tutto questo!
Dott.ssa Dianella Viola medico chirurgo Psichiatra e Psicoterapeuta
LA VIOLENZA IN FAMIGLIA E IL COVID-19
In passato formare una famiglia e allevare i figli era una lotta continua contro la povertà, le malattie e le avversità della natura. Allora, ci si chiede come sia possibile oggi (e sicuramente anche domani, superata la fase del Covid-19), con un livello di benessere migliore e con cure mediche più efficienti rispetto al passato, il verificarsi continuo di tragedie familiari, come la violenza sulle donne e i femminicidi.
Ho sempre pensato, nella mia esperienza personale e nella mia esperienza lavorativa, che la solitudine sia alla base di questi atti drammatici, spesso senza una vera spiegazione.
Una volta il matrimonio era essenzialmente un contratto e i genitori dei futuri sposi avevano un importante ruolo decisionale nella valutazione del partner. Condizioni economiche e sociali venivano attentamente valutate, mentre gli aspetti affettivi erano tenuti decisamente in minor considerazione.
Con l’aumentare della libertà individuale, invece, l’affettività (l’Amore) ha prevalso. Di per sé questo non sarebbe negativo se non fosse spesso accompagnato dalla negazione o dalla sottovalutazione degli altri aspetti del partner e della relazione.
La nostra società, attraverso i media, esalta le emozioni dell’amore e della passione ed ognuno di noi vuole vivere nella propria vita queste avventure. L’entusiasmo di aver trovato, come nei film, l’Anima Gemella, la persona con cui condividere idee, affetto e sesso, la persona con cui ci si intende con uno sguardo, fa dimenticare altri elementi e fa confondere la parte con il tutto. Quando successivamente, con la convivenza cominciano ad emergere altri aspetti della/del partner si rimane stupiti, delusi e ci si sente traditi.
In realtà, siamo stati traditi da un sogno male interpretato e quindi da noi stessi, ma con chi possiamo prendercela se non con chi ci sta vicino, ovvero la nostra compagna o il nostro compagno? Come se fosse l’altro la causa del nostro errore, ci stacchiamo da lei/lui, proviamo un senso di delusione e tradimento, riversando nella relazione tutta la rabbia e il dolore che proviamo.
Ma nel momento in cui distruggiamo la nostra coppia perché non corrisponde all’ideale che avevamo nel cuore, iniziamo un percorso nel quale la solitudine aumenta a dismisura facendoci sentire un nulla nel Mondo in cui viviamo. Ed è allora che ci troviamo spersi in un oceano di solitudine e di amarezza. Nel tentativo di trovare nuovamente la nostra dimensione e placare il nostro dolore cerchiamo qualcuno a cui imputare la colpa del fallimento: non sono io che ho sbagliato, ma sei tu che sei sbagliata/sbagliato e che mi hai tratto in inganno!
Ma trovare il colpevole non attenua il dolore, lo amplifica, poiché stiamo distruggendo quello in cui avevamo creduto. Così rendiamo le nostre relazioni più intime un inferno: la coppia o la famiglia diventano un concentrato di emozioni negative, un contesto dove ad ogni parola ne seguirà un’altra di biasimo e poi ancora un’altra di squalifica e di aggressione e così via, in un circolo negativo senza fine. E il nostro partner potrà provare come noi le stesse sensazioni, oppure non capire e sentirsi ingiustamente accusata/accusato e reagirà anche lei/lui, trasformando la rabbia e il dolore prima in atteggiamenti, poi in parole ed infine in gesti.
Questi sono i presupposti di un dramma, che anche se non finirà tragicamente, sarà comunque un’esperienza personale tragica, che ognuno dei due partner (e purtroppo anche i figli) si porterà appresso per tutta la vita.
Qualsiasi relazione si costruisce nel tempo, e il matrimonio (o la convivenza) è un vero e proprio lavoro. Se la spinta iniziale che ci ha fatto scegliere quella/quel partner era valida, dovremo comunque faticare tutti i giorni, ogni giorno, ogni ora, ogni momento, per comprendere l’altro e noi stessi. Dovremo stemperare momenti di rabbia e di recriminazione, colmando incomprensioni dovute a stanchezza o stress. Capire, per esempio, che l’altra/altro possono trovarsi in un momento difficile di vita per il lavoro, per una malattia o per qualsiasi altro evento negativo che la vita ci fa affrontare. Ma spesso siamo talmente incentrati su noi stessi che non capiamo che l’altro può aver anche cambiato esigenze nel tempo. Anche i nostri figli, che amiamo, possono creare un divario nella coppia (cosa frequente e normale) e spetta ai genitori rimanere uniti per affrontare i cambiamenti.
Purtroppo, spesso quando le situazioni familiari diventano critiche e le richieste di aiuto emergono, superando la vergogna del fallimento, questi passaggi sono già avvenuti. La situazione è critica, la relazione quasi sempre irrecuperabile, ed ogni situazione di stress, anche minima, esaspera la rabbia, il dolore e il pericolo della situazione.
L’ attuale isolamento dovuto al Covid-19 e lo stare quindi sempre in casa, impediscono l’utilizzo di momenti e spazi esterni che servono ad attenuare la tensione familiare e le donne e i bambini sono coloro che corrono i rischi maggiori. Ecco perché ci viene chiesto, in questa periodo di vita surreale, di guardarci attorno più di quanto facevamo prima. Di renderci conto di chi può aver bisogno di aiuto e là dove non possiamo o non siamo in grado di aiutare, di indirizzare le persone e dare loro delle indicazioni per contattare chi potrà aiutarle. Ecco perché chiediamo a tutti di non voltarsi da un’altra parte e di guardare l’Altra/Altro.
Corpo e anima delle donne in quarantena.
Dott.ssa Carlotta Zoncu
Psicologa, psicoterapeuta, gruppoanalista
Questa quarantena è un evento senza precedenti per la maggior parte delle persone, eppure nel suo essere assolutamente straordinario in questo isolamento forzato, in questa permanenza in casa c’è qualcosa di profondamente conosciuto, di esasperatamente intimo. Potremmo dire che la pandemia si limita a svelare il volto delle nostre paure più profonde, rendere più evidenti i problemi delle nostre identità, delle nostre famiglie, delle società.
La povertà può diventare una colpa, la salute un lusso e le differenze possono diventare abissi, anche quelle di genere. Il virus ci porta prepotentemente agli occhi il fatto che non siamo “sulla stessa barca” –non lo siamo mai stati-, forse sullo stesso mare, ma con diversi mezzi per attraversare la tempesta.
Non serve leggere le tremende statistiche sull’aumento della violenza di genere per capire che non tutte le donne stanno facendo yoga in salone e sfornando panini fragranti, e anche quelle che stanno salvando il prossimo in corsia forse tolto il camice e la mascherina provano un profondo senso di solutudine.
È sufficiente ascoltare qualche amica, sorella, conoscente per comprendere che alle donne in questa quarantena si sta chiedendo, come al solito, uno sforzo straordinario. Le mamme si sono trasformate in maestre, lavoratrici in smart-working, casalinghe, animatrici.
Quelle che riescono a fare tutto, a rispettare le aspettative si sentono stanche e le altre sono oppresse dal senso di colpa. Inoltre la clausura prolungata può aumentare i sentimenti negativi in relazione alla fisicità, modificando o deformando la propria immagine corporea. Molte donne in questa circostanza non riescono a distinguere tra relax e apatia, tra piacere culinario e problema alimentare. Inoltre in questo momento siamo tutti costretti a confrontarci prepotentemente con la nostra immagine riflessa, sia perché incontriamo per casa molti specchi, ma anche per vie delle videochiamate che ci rimandano in continuazione il nostro volto sullo schermo.
E ancora, il tempo passato sui social è aumentato: Facebook e Instagram rimandano continuamente immagini di donne in perfetta forma, curatissime e felici di mostrare il proprio corpo e la propria vita, senza parlare del marketing sui prodotti di bellezza, i consigli dei fitness influencer ecc. La maggior parte dei contenuti incita le donne a tenersi in forma, avere un aspetto attraente ed essere sempre sorridenti, ma lo fa in un modo poco realistico e questo si trasforma in una violenza psichica nei confronti delle personalità più fragili.
Le forme di violenza che una donna può subire in questo momento sono diverse e potremmo collocarle lungo un continuum al culmine del quale abbiamo i soprusi psichici e fisici per i quali è importante rivolgersi ai centri antiviolenza attivando tutti i canali per essere messe in sicurezza e protette. Nel mezzo di questo continuum abbiamo una serie di piccole e medie sofferenze quotidiane, frustrazioni, richieste eccessive, alle quali molte donne sono sottoposte. È importante dare voce anche a queste numerose vittime.
Il consiglio, oltre a quello di rivolgersi a professionisti della salute psico-fisica, è quello di combattere la solitudine che porta a concentrarsi troppo sul corpo e sull’aspetto fisico. Ma soprattutto quello di essere compassionevoli verso se stesse, e consapevoli che stiamo vivendo un momento difficile e non sempre siamo in grado di rispettare gli alti standard che ci impone la società e ci imponiamo noi stesse. Questa è una condizione temporanea e ci sarà tempo per raggiungere obiettivi più realistici e più soddisfacenti.
Claudia della Cieca, psicologa dell’età evolutiva
Dissocialità Minorile e il covid-19
Dal punto di vista neuropsichiatrico quando parliamo di dissocialità minorile ci troviamo di fronte ad una parabola di rischio evolutivo che si manifesta con la presenza di un nucleo depressivo (D), caratterizzato da intensa sofferenza causata da “dolore morale”, prodotto da bassa autostima e spesso carenza di adeguato investimento ed attenzione genitoriale specifica ed istituzionale, complicatosi in un Disturbo Oppositivo Provocatorio ( DOP) prima ed in un Disturbo della Condotta (DC) dopo, con ulteriore possibilità di configurare nel giovane adulto un Disturbo di Personalità (DP), specialmente del Cluster “B”, ovvero Antisociale, Borderline, Istrionico o Narcisistico. Dietro questi nuclei di patologia, si nasconde in relazione all’età, una scarsa autostima, bisogno di approvazione e di modelli di identificazione, ridotta performances sociale e di rendimento scolastico, richieste d’attenzione dall’adulto significativo; si attuano comportamenti disapprovanti fino a destare rimproveri quali segnali di interesse da parte degli adulti ritenuti autorevoli. Quando il ragazzo non si sente più oggetto d’amore per nessuno e per questo prova un ancor più grande dolore morale, per liberarsi di tale sofferenza struttura un comportamento caratterizzato da “predatorietà” (con ricerca del possesso di oggetti, telefonini, cariche telefoniche o della libertà altrui, come per l’accesso a luoghi o la presenza in un gruppo) si riappropria dell’attenzione, di ciò che le è stato negato.
Ci troviamo di fronte a tale agiti anche a causa dell’assenza di nuove forme di aggregazione sociale, modelli validi per cui gli adolescenti possano sviluppare un efficace senso d’appartenenza. I modelli mediatici (tv-internet-video-giochi) a cui sono sottoposti quotidianamente forniscono contenuti forti in cui identificarsi, alimentano la competizione ed il desiderio di sopraffazione, rispecchiano il senso di ribellione che l’adolescente sente dentro di se e che può cosi esternare attraverso la simulazione e messa in atto di condotte devianti in cui potrà esercitare il suo bisogno di affermazione individuale.
Tutto ciò nell’attuale situazione d’emergenza conduce ad una maggiore dipendenza dai social media, richiedendo ancora più attenzione alla prevenzione nella costruzione della mente dell’adolescente di immaginari dannosi ed emulativi; risulta quindi fondamentale il sostegno alla genitorialità nel gestire le condotte a rischio ed interventi finalizzati ad aiutare le famiglie.