(Agi) L’allarme di Fiepet Confesercenti e Confcommercio: “Situazione drammatica”.
C’è perplessità per i mancati aiuti da parte del governo: il 92% delle imprese nel capoluogo lombardo sta ancora aspettando i soldi. Il sindaco Sala non farà pagare tasse per i tavolini all’aperto. Nella capitale monta la protesta: “Riaprire costerà più dei due mesi di chiusura”.
Lo spettro della crisi si allunga sul settore del commercio tra Milano e Roma, in vista della sperata totale riapertura delle prossime settimane. In totale nelle due città si calcola che siano poco meno di 9000 gli esercizi che potrebbero non riaprire i battenti oppure chiudere definitivamente nei primi mesi della fase 2. Di questi circa 5000 sono a Roma, secondo la stima della Fiepet Confesercenti che sottolinea come le cose potrebbero addirittura peggiorare con il passare del tempo, mentre altri 3700 sono quelli a rischio a Milano, secondo un’indagine di Confcommercio. Al momento, secondo quanto si apprende, c’è perplessità per i mancati aiuti da parte del governo.
Il segretario generale di Confcommercio Milano, Marco Barbieri, definisce “drammatica” la situazione. “Abbiamo fatto – sottolinea – un’indagine su 2 mila imprese. Il 92% sta aspettando ancora i soldi, sia sotto forma di finanziamenti bancari sia di ammortizzatori sociali, e ormai a quasi 3 mesi dal lockdown. L’82% delle attività commerciali vorrebbe riaprire, di questo 82%, oltre il 70% dice di riaprire consapevole che i ricavi saranno minori dei costi. Insomma, ripartiamo col freno a mano tirato”.
Delle circa 22.700 imprese milanesi coinvolte nel lockdown, “probabilmente circa 3.700 non ce la fanno a riaprire”. Barbieri aggiunge che “in una logica di svantaggio generalizzato, coloro che hanno avuto perdite inferiori sono state le attività che potevano stare aperte, principalmente il settore alimentare”. Mentre i più svantaggiati “settore alberghiero e tour operator in primis, assieme a quello dell’intrattenimento, discoteche, cinema, teatri; subito dopo il settore dell’abbigliamento e delle calzature; e poi il settore della somministrazione e ristorazione, che comunque poteva fare le consegne a domicilio e a cui dal 4 maggio è stato concesso l’asporto”.
A Roma intanto monta la protesta con uno sciopero indetto per il 18 maggio. Ai commercianti che in quella data, per un solo giorno, non riapriranno i loro negozi aderendo allo sciopero “Io non riapro” indetto dall’associazione Roma Produttiva, che riunisce le associazioni di strada, si sono appena uniti quelli dell’Associazione San Pietro (fondata venti anni fa, oggi conta 70 esercizi dislocati tra via della Conciliazione, piazza San Pietro, Borgo Pio e Porta Angelica).
Confcommercio dal canto suo non aderisce allo sciopero del 18 maggio indetto da Roma produttiva, ma le preoccupazioni non mancano: “I costi di riapertura saranno superiori a quelli affrontati in questi due mesi di chiusura – afferma il presidente David Sermoneta – e sono parecchi quelli che, in crisi di liquidità, il 18 maggio decideranno di non riaprire, per aspettare l’erogazione degli aiuti. Ma ci fa più paura il fatto che, tra quelli che riscenderanno in campo, molti saranno in fretta costretti a fallire. Perché tirare su le serrande non significa certo tornare agli incassi medi pre-Covid, abbiamo bisogno di essere accompagnati fino al ritorno alla normalità”.
Sul fronte della norme relative all’igienizzazione si ritiene però soddisfatto: “Ci siamo battuti contro chi ventilava la necessità di igienizzare i capi di abbigliamento ogni volta che venivano provati – spiega – e invece secondo le indicazioni di Confcommercio nazionale basterà procedere due volte al giorno a quella dei locali”. I dipendenti, spiega, indosseranno la mascherina, così come i clienti che non saranno però obbligati a mettere i guanti (“devono poter toccare i tessuti della merce che comprano”) ma dovranno detergersi le mani attraverso i dispenser posizionati all’ingresso dei locali. “E i camerini di prova verrano igienizzati all’uscita di ogni cliente”.
Sempre sul fronte commercio da notare l’annuncio del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che toglierà le tasse a bar e ristoranti che occuperanno i marciapiedi con i propri tavoli. “La buona notizia, comunicata ieri dal ministro Franceschini – ricorda Sala – è che bar e ristoranti potranno chiedere di usare spazio all’aperto”, antistanti ai locali “senza vincoli della sovrintendenza. L’unico vincolo rimane la sicurezza”. Ma cosa importante: “Non faremo pagare nessuna tassa – assicura – quindi cominciate a pensare, baristi e ristoratori, a che spazi potete avere bisogno all’aperto. Inoltre, “i comuni attraverso l’Anci, stanno chiedendo un contributo al governo per poter esentare bar e ristoranti dal pagamento della tassa dei rifiuti o di occupazione suolo, per il periodo in cui sono tati chiusi, speriamo di poter avere notizie a breve”.