La psicologa Margherita Graglia riferisce sul livello di inclusione nei 49 paesi europei per il 17 maggio.
Il nostro Paese è al 23%, la Spagna al 67%
Ogni anno a maggio l’Ilga (International Lesbian Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) pubblica un rapporto sul livello di inclusione raggiunto nei 49 paesi del continente europeo. L’occasione è quella della ricorrenza del 17 maggio 1990, quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato l’omosessualità dall’elenco dei disturbi mentali dichiarandola una variazione naturale dell’espressione affettiva e sessuale. Si tratta di una pietra miliare lungo la strada del pieno riconoscimento sociale delle identità LGBT, ma ancora tanto cammino rimane da fare. Lo capiamo chiaramente guardando la mappa del 2020 presentata dall’Ilga che fotografa la situazione nei vari Stati. L’associazione internazionale esamina le legislazioni e le politiche attraverso una serie di parametri che permettono di stilare un indice che va da zero (nessuna inclusività) a 100 (inclusività piena). Il range che va da zero a 100 viene rappresentato dalle sfumature del colore rosso fino ad arrivare a quelle del verde: clicca qui per l’immagine.
L’Italia raggiunge il 23% di inclusione, lontana dalla vicina Francia (56%) e dalla Spagna (67%), ma anche dalla Grecia (48%), molto più vicina invece ai paesi dell’Europa dell’Est, come ad esempio l’Ucraina (22%) e la Lituania (23%). Perché questa differenza con i paesi più vicini per geografia e anche per cultura?
Il vulnus italiano si situa su due livelli: normativo e di pratiche sociali. Prendiamo il caso delle leggi, a differenza della Francia e della Spagna, in Italia non abbiamo una legge che parifica le coppie formate da persone dello stesso sesso a quelle di sesso diverso e questo traccia una diseguaglianza sostanziale che rimanda al fatto che le coppie omosessuali non sono considerate alla stessa stregua di quelle eterosessuali. I due paesi appena citati prevedono infatti la possibilità del matrimonio, mentre in Italia è stato creato un istituto specifico: le unioni civili. Inoltre, da questa legge è stata stralciata la stepchild adoption, lasciando in questo modo i figli delle famiglie omogenitoriali senza tutele.
Allo stesso tempo non esiste una legge contro l’omotransfobia, che è stata incardinata solo di recente in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati per essere discussa. Così la legge – n.164 del 1982 – che norma il percorso di transizione per le persone transgender è oramai obsoleta e avrebbe bisogno di essere rivisitata in base ai cambiamenti sociali avvenuti nel corso del tempo e alle istanze emergenti delle persone transgender.
Se la politica latita è pur vero che alcuni territori si muovono e portano avanti iniziative fondamentali di promozione dei diritti delle persone LGBT, si pensi ad esempio a quelle Regioni che hanno approvato leggi contro le discriminazioni basate sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale o agli enti locali, come i Comuni, che in taluni casi riconoscono i figli delle famiglie omogenitoriali trascrivendo l’atto di nascita all’anagrafe recante l’indicazione dei due genitori.
Non si tratta però esclusivamente di una lacuna a livello legislativo, tutelare i diritti delle persone LGBT significa anche cambiare le rappresentazioni sociali che veicolano immagini negative di queste minoranze e le conseguenti pratiche sociali. Le istituzioni sono in una posizione d’elezione per poter incidere a questo livello. Tra le esperienze citiamo quella del Comune di Reggio Emilia che si distingue per innovazione e portata, in quanto coinvolge tutte le principali istituzioni del territorio: il Tavolo interistituzionale per il contrasto all’omotransnegatività e per l’inclusione delle persone LGBT. Tutti i soggetti coinvolti nel progetto hanno infatti sottoscritto nel 2019 un protocollo operativo che ha individuato una serie di buone prassi per promuovere l’inclusione dei cittadini LGBT. Le leggi sono fondamentali per tutelare i diritti delle persone LGBT e per promuovere il cambiamento culturale, così come l’impegno delle istituzioni locali. Queste sono vicine alle vite delle persone e pertanto possono adottare precisi dispositivi inclusivi rendendo concreta l’inclusione. Al contempo, proprio grazie a questi interventi, gli enti e le istituzioni locali possono sollecitare un rinnovamento normativo a livello nazionale per allinearci finalmente agli standard inclusivi dell’Unione europea.
(Globalist)