I dati registrati e comunicati da Anpal si riferiscono al 2020. La situazione è precipitata col decreto del 9 marzo.
“Da quella data in poi le nuove attivazioni cumulate giornaliere si spostano progressivamente e stabilmente su valori negativi”
Crollo dei contratti a termine di quasi 200 mila unità e delle nuove attivazioni, con i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato che mantengono comunque valori positivi. È la fotografia scattata dall’Anpal in un approfondimento sulle ‘Prime evidenze degli effetti della crisi sanitaria sulla dinamica dei rapporti di lavoro’, che premette come la pandemia di coronavirus si sia abbattuta sul sistema economico mondiale e italiano “come una vera tempesta, determinando un shock economico senza precedenti e con effetti destinati a protrarsi nel tempo”.
In termini di attivazioni contrattuali, la cesura determinata dal progressivo estendersi dei provvedimenti di lockdown appare del tutto evidente. A inizio 2020 l’andamento cumulato delle attivazioni a tempo determinato e indeterminato appare “sostanzialmente in linea con quanto rilevato nello stesso periodo dell’anno precedente”, ma già dall’avvio delle prime misure di contenimento per isolare i focolai in alcune zone della Lombardia e del Veneto, le attivazioni contrattuali hanno cominciato a peggiorare, con i tassi ti variazione tendenziale giornalieri che mostrano una progressiva decelerazione.
La situazione è poi precipitata col decreto del 9 marzo. “Da quella data in poi – scrive l’Anpal – la curva delle attivazioni si allontana sensibilmente dalla traiettoria mantenuta fino a quel momento e, in termini tendenziali le nuove attivazioni cumulate giornaliere si spostano progressivamente e stabilmente su valori negativi. Al 23 aprile scorso, in termini assoluti, il 2020 registra un deficit di circa 735 mila attivazioni rispetto al 2019, con variazioni tendenziali che nella seconda meta’ del mese di aprile superano il 20%. Al contempo, la dinamica delle cessazioni del 2020 risente parzialmente del blocco dei licenziamenti introdotto che ne riduce progressivamente il volume, ma tale contrazione non è sufficiente a compensare il crollo delle attivazioni”.
In termini tendenziali, il punto di svolta è rintracciabile nel lasso di tempo che intercorre tra i due principali provvedimenti del Governo. A breve distanza dal DPCM del 23 febbraio la variazione tendenziale subisce una brusca decelerazione verso valori marcatamente negativi fini a raggiungere, nel mese di aprile, variazioni superiori a -50%.
Per quanto in forte contrazione già nel periodo intermedio tra la pubblicazione dei due decreti, i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato mantengono comunque valori positivi. Ben diversa la dinamica dei contratti a tempo determinato che, “dopo la brusca inversione di tendenza registrata tra la fine del mese di febbraio e i primi giorni di marzo, vedono precipitare, dal 9 marzo in poi, le relative posizioni lavorative nette a quasi – 200mila unità”.
Sul fronte territoriale, al 22 febbraio il volume di attivazioni nel Nord Italia era stato del 5,5% inferiore a quanto registrato nello stesso periodo dell’anno precedente, contrazione che per le regioni centrali si assestava all’1,9%. Al contrario, il Mezzogiorno, alla stessa data, segnava una crescita dei contratti attivati del 3,1%. Dopo il DPCM del 23 febbraio e, soprattutto, quello del 9 marzo, i valori decrescono per tutte le ripartizioni, con le regioni meridionali che, nell’ultima decade di marzo, invertono il segno della crescita e si avviano, come il resto del paese, verso variazioni tendenziali fortemente negative.
Sono quindi soprattutto le regioni del Centro Nord a mostrare le contrazioni maggiori nei flussi di assunzione, con Toscana, Liguria, le Provincie Autonoma di Trento e Bolzano e il Veneto che segnano riduzioni superiori al 30% e prossimi o superiori (come nel caso della Pa di Bolzano e della Toscana) al 60% se si guarda ai flussi dal 23 febbraio in poi. In termini settoriali, le attività legate ai servizi e alla ristorazione sono quelle messe di piu’ in ginocchio sul fronte delle attivazioni contrattuali.
“A causa dell’interruzione della coda della stagione turistica invernale, e il mancato avvio delle assunzioni per la fase primaverile – si sottolinea nell’analisi – il settore turistico alberghiero si contrae di oltre il 52%. Si tratta di un deficit prossimo alle 300 mila unità rispetto allo scorso anno, vale a dire quasi il 40% del totale della contrazione dei nuovi contratti rilevati nel periodo”.
Altrettanto colpito è il settore delle attività artistico e sportive:
“Il lockdown qui è quasi stato altrettanto dirompente che per il settore turistico, con una riduzione del 44,6%”, spiega l’Anpal. Ma è l’intero tessuto produttivo a mostrare chiaramente le conseguenze della crisi determinata dall’emergenza Covid-19, con la sola eccezione del comparto agricolo e, per ovvie ragioni, del settore sanitario.
L’unico comparto a segnare un, per quanto lieve, aumento nel volume dei contratti è quello delle attività legate al lavoro domestico, “probabilmente per sopperire all’impossibilità di assistere persone non autosufficienti, a causa della limitazione agli spostamenti”, spiega l’analisi.
Va sottolineato, infine, come l’andamento delle attivazioni non appare affatto correlato con l’individuazione dei settori cosiddetti essenziali, “a segnare, ancora una volta, come la crisi occupazionale abbia trasversalmente coinvolto l’intero sistema produttivo italiano”.
(Agi)