Il professor Luciano De Biase, responsabile del reparto Covid- 19 e Cardiologia del Sant’Andrea
“Il valore di un sistema sanitario pubblico e integrato”
Dall’inizio della pandemia, in Italia si contano 221.216 contagi da Coronavirus, con una maggiore concentrazione nelle regioni del nord. Analizzando la situazione nel Lazio, e a Roma in particolare, gli ultimi dati aggiornati al 12 maggio 2020 riportano 7212 casi, di cui 5266 accertati nella Capitale. In questa fase2 i numeri ci riferiscono un contenimento del contagio, un aumento di guariti ed un calo dei decessi. Nello specifico, il XV municipio di Roma conta ad oggi 166 contagi, con un lieve incremento a metà maggio.
Il polo ospedaliero universitario del Sant’Andrea ospita attualmente due reparti Covid, che hanno assistito circa un migliaio di accessi. professor De Biase, numeri a parte, ci racconta come state gestendo questa emergenza fin dal principio?
“Il Sant’Andrea ha proceduto in tempi brevissimi ad una riorganizzazione interna. In primo luogo abbiamo organizzato percorsi specifici per l’accesso al Pronto Soccorso e abbiamo realizzato aree per i pazienti in PS dove potessero essere gestiti i pazienti con diagnosi certa di infezione da Covid, pazienti in attesa di diagnosi e pazienti con altre patologie. Abbiamo riservato circa 40 posti letto di rianimazione ai pazienti affetti da grave insufficienza respiratoria aprendo due nuove aree di Terapia Intensiva. Sono stati attivati 60 posti letto riservati ai pazienti affetti da Covid-19 In tutti i reparti con pazienti Covid gli operatori sanitari sono stati dotati di specifiche protezioni e hanno seguito corsi per non contrarre la malattia. Come da ordinanza Regionale sono state bloccate le visite ambulatoriali di controllo. Le attività urgenti e quelle legate a problemi oncologici sono continuate. Nel nostro, che è anche un ospedale universitario, è stata bloccata l’attività didattica tradizionale ed è stata attivata una tele didattica”.
Recentemente è stata proposta una riorganizzazione della rete degli ospedali Covid, che punta ad individuare dei centri ospedalieri dedicati, abbandonando le strutture miste come il Sant’Andrea, dove si rischia di pregiudicare l’assistenza sanitaria ai cittadini ricoverati negli altri reparti e la sicurezza stessa del personale sanitario. Lei cosa ne pensa?
“Il Lazio ha già delle strutture dedicate, come lo Spallanzani. I pazienti Covid dovrebbero ridursi, speriamo, e i posti letto dello Spallanzani dovrebbero bastare. Nel caso disgraziato di una ripresa dell’epidemia dovremo ragionare su altre direttive. In questo caso potrebbe essere utile individuare strutture dedicate, ma i pazienti affetti da infezione da Coronavirus possono avere molte altre patologie e in ospedali dedicati potrebbero non trovare le specializzazioni necessarie. Oggi abbiamo nei Pronto Soccorso molti pazienti con una polmonite e diagnosi che deve essere effettuata di malattia da Coronavirus. Questi pazienti per fortuna sono sempre più raramente con tampone positivo, ma bloccano molti posti in Pronto Soccorso. Questo problema coinvolge tutti gli ospedali e non è purtroppo risolvibile con ospedali dedicati. Oggi si rischia di più in normali corsie che in reparti dedicati dove si prendono molte precauzioni”.
La Regione Lazio ha recentemente approvato una determina per effettuare tamponi faringei e test sierologici a carico del Servizio Sanitario per una più ampia mappatura regionale, quale differenza c’è tra i due prelievi?
“La sensibilità di un tampone ben eseguito è di circa il 70%. Molto si è discusso sulla sensibilità dei test che misurano gli anticorpi contro il virus: i primi dati davano una scarsa sensibilità e si stanno cercando metodiche più raffinate. Dobbiamo ricordare che la negatività a uno dei test non conferisce la patente di immunità per sempre, ma rispecchia solo la situazione al momento. Questo significa che le misure di prevenzione devono sempre essere attuate. I test aiutano invece a trovare precocemente i contagiati e a metterli in quarantena, oltre che ad individuare gruppi di pazienti che vengono sottoposti ad osservazione. Da questo punto di vista questi esami danno informazioni epidemiologiche molto utili”.
Con la riapertura delle attività commerciali, programmate nelle prossime fasi, quali sono le previsioni sulla diffusione del contagio? E quanto sono efficaci i dispositivi di protezione individuale?
“Il pericolo di una ripesa dell’epidemia con la riapertura delle attività commerciali è reale, come ci dimostrano i casi di altre Nazioni. A livello nazionale l’Istituto Superiore di Sanità segue quotidianamente l’evolvere dell’epidemia e ci potrà avvertire in caso di aumento del numero dei casi. Noi saremo molto attenti la prossima settimana, vista la parziale liberalizzazione che vi è stata a inizio maggio. Bisogna fare attenzione alle misure di precauzione, dal non frequentare persone con febbre e sintomi di insufficienza respiratoria o che comunque sono state in contatto con pazienti affetti da Covid, a indossare dispositivi di protezione, oltre che a mantenere le distanze consigliate. Per quello che riguarda le famose mascherine vedo ancora troppa gente in giro che non le porta o che le usa senza coprire la bocca e il naso. Le mascherine “chirurgiche” riducono il pericolo di infettare gli altri e sono molto utili se le indossano tutti. Le altre mascherine in genere riducono il rischio di infettarci, ma non eliminano la possibilità che chi le indossa infetti altri”.
Infine, secondo la sua esperienza, quali sono le conseguenze psicologiche e cliniche del Coronavirus nei pazienti guariti? E quale potrebbe essere lo scenario futuro per la nostra società nella convivenza con questo o altri potenziali virus simili?
“Durante il periodo in cui i pazienti sono ricoverati, sia in terapia intensiva che in degenza protetta, sono assenti i contatti con parenti e amici e i pazienti vedono solo gli occhi degli operatori sanitari. Non è un caso se un paziente mi ha inviato una canzone di Roberto Murolo “Uocchie c’arraggiunate” per descrivere le sue sensazioni. Problemi psicologici ci sono in tutti i pazienti in terapia intensiva e soprattutto negli anziani ricoverati, ma questa epidemia li ha aggravati. Non sappiamo se vi saranno, e di quale gravità, conseguenze in particolare sulla funzione polmonare. La convalescenza è lunga, caratterizzata in particolare da astenia. Questa epidemia dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, ricordarci quanto sono fragili gli esseri umani e quanto un sistema sanitario pubblico integrato a livello internazionale sia indispensabile. Abbiamo fatto una grande se pur tragica esperienza e abbiamo imparato molte cose che hanno permesso di riorganizzare il sistema sanitario. Tocca a tutti i cittadini, oltre che agli operatori sanitari, metterle in pratica”.
Francesca Quarantini