18 Luglio, 2024
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Asili nido, futuro a rischio per un’offerta già carente sul territorio

In un report Istat tutti i numeri della crisi dei servizi educativi 0-6 anni su cui oggi gravano le conseguenze dell’emergenza sanitaria e l’incertezza sul futuro

I servizi educativi per la prima infanzia stanno attraversando una grave crisi, tra strutture in ginocchio che faticheranno a riaprire a settembre e l’impossibilità pedagogica di sopperire ai bisogni dei più piccoli con la didattica a distanza. Su questa crisi, però, già pesava – ancor prima del Covid-19 – «una carenza strutturale» nell’offerta ben documentata dal report «Nidi e servizi educativi per l’infanzia» presentato stamattina e frutto dell’accordo di collaborazione triennale stipulato a fine 2018 tra il dipartimento per le Politiche della Famiglia, l’Istat e l’università Ca’ Foscari di Venezia.

Che la scarsità di posti disponibili negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia sia un problema centrale per lo sviluppo delle nuove generazioni e il sostegno alle famiglie italiane è già chiaro da alcuni anni. Tanto che lo stesso premier Giuseppe Conte nel suo discorso di insediamento parò di voler promuovere l’accesso gratuito per tutti agli asili nido. Ora la crisi scoppiata con il Covid-19, però, mette in ginocchio proprio questo tipo di attività, chiuse fin dalle prime ore dell’emergenza sanitaria e sul futuro dei servizi educativi per la fascia 0-6 anni regna ancora l’incertezza.

I numeri dell’Istat sull’offerta

Gli asili nido privati o convenzionati rappresentano il 49% della dotazione complessiva esistente di posti nei servizi rivolti alla prima infanzia. La carenza strutturale di servizi, sia pubblici che privati, emerge se confrontata con il potenziale bacino di utenza (bambini di età inferiore a 3 anni) e, in particolare, osservando la distribuzione profondamente disomogenea sul territorio nazionale. I posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi pubblici e privati – viene spiegato nel report – rispondono mediamente al 12,3% del bacino potenziale di utenza al Sud e al 13,5% di quello delle Isole, contro una media nazionale del 24,7% (anno scolastico 2017/2018). Una dotazione ben al di sotto – viene fatto notare nello studio – dell’obiettivo del 33% fissato per il 2010 dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002.

Il Nord-est e il Centro Italia hanno tassi di copertura decisamente più alti, 32,5% e 32,4% rispettivamente, segue il Nord-ovest con il 29,2%. Le strutture per la prima infanzia- sempre secondo il rapporto Istat – risultano concentrate nei territori più sviluppati dal punto di vista economico e nei Comuni più grandi, mentre le aree più povere e i piccoli centri soffrono spesso di una carenza di servizi. Le aree territoriali più in sofferenza si concentrano, oltre che nel Mezzogiorno, lungo l’arco alpino e in parte sulla dorsale appenninica in corrispondenza di territori montani (ad eccezione dei ben serviti Comuni delle Province autonome di Trento e Bolzano e della Valle d’Aosta).

Il nodo dei costi troppo elevati

I costi degli asili nido contribuiscono a selezionare i bambini che accedono al servizio dal punto di vista del reddito familiare. Infatti, il reddito netto delle famiglie che usufruiscono del nido risulta mediamente più alto di quello delle famiglie con figli di età compresa fra 0 e 2 anni che non frequentano il nido: 40.092 euro annui contro 34.572 euro. Anche questo dato emerge dal report sui servizi educativi per l’infanzia promosso da Istat: ordinando la popolazione in cinque gruppi per livello crescente di reddito, l’utilizzo del nido risulta decisamente più basso per il primo gruppo, composto dalle famiglie più povere, al cui interno solo il 13,4% dei bambini fruisce del servizio. Tale valore sale al 23,5% nel secondo quinto, cresce in misura molto più contenuta nel terzo (24,8%) e nel quarto gruppo (25,9%) e di nuovo in misura più consistente nella fascia più alta di reddito (31,2%). Le percentuali di utilizzo del nido risultano decisamente sotto la media in corrispondenza delle principali condizioni di disagio, come la grave deprivazione materiale (13,7%), il rischio di povertà (14,2%) e la bassa intensità lavorativa (15,5%) mentre nelle famiglie che non presentano alcuna condizione di disagio la quota è del 26,2%.

Complessivamente i Comuni spendono circa 1 miliardo e 461 milioni di euro l’anno per i nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia, di cui il 19,6% rimborsato dalle famiglie sotto forma di compartecipazione degli utenti. Al Centro-nord la spesa media dei Comuni per un bambino residente passa da poco meno di 2mila euro l’anno nei Comuni altamente urbanizzati a poco meno di 700 euro nei comuni con grado di urbanizzazione medio e basso. Nel Mezzogiorno si ha una media di 389 euro per bambino nei Comuni più urbanizzati e di circa 300 euro l’anno nei Comuni a media e bassa urbanizzazione.

Gli effetti del Covid e l’emergenza sul futuro

L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 oggi mette a rischio la gestione dei nidi da parte dei Comuni, i quali già risentono delle mancate entrate e dei rimborsi dovuti alle famiglie per le rette afferenti al periodo di chiusura delle strutture educative. Analoghe preoccupazioni riguardano il settore privato, anche per le inevitabili ripercussioni economiche che la crisi avrà sulle famiglie, riducendo la loro capacità di spesa e condizionando la scelta di frequenza dei bambini ai servizi educativi per l’infanzia.

Le promesse della politica

«In questo periodo di fatica per la collettività è emerso con chiarezza che bisogna rimettere al centro i servizi educativi per prima infanzia», ha detto la ministra per la Famiglia, Elena Bonetti, durante la presentazione del rapporto Istat. «Il coronavirus ha reso ancor più evidenti le problematiche legate a questi numeri e i rischi legati all’impoverimetno dei servizi educativi – ha aggiunto -. Oggi dobbiamo ricomporre i cocci di un sistema che si è mostrato fragile, aperti a nuove progettualità e ai suggerimenti più innovativi, per rididsegnare un sistema all’altezza delle sfide che ci attendono come Paese». Così la ministra Bonetti ha sottolineato, guardando al futuro, la necessità di tornare a investire per adeguare l’offerta deri servizi educativi per la prima infanzia alla situazione attuale. «Non può essere l’ennesima occasione perduta», ha concluso.

(Il Sole24Ore)

 

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