Mafia capitale? No, al massimo corruzione nella capitale.
Una corruzione sistematica e una collusione sistemica, funzionari comunque asserviti a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ma senza mafia. È questo il ragionamento seguito dai giudici della corte della Cassazione, che hanno depositato le motivazioni con le quali il 22 ottobre scorso hanno escluso l’associazione mafiosa nel processo “mondo di mezzo“, la maxi operazione poi ribattezzata Mafia capitale proprio per la contestazione dell’associazione di stampo mafioso a molti degli imputati. “La Corte ha escluso il carattere mafioso dell’associazione contestata agli imputati e ha riaffermato l’esistenza, già ritenuta nel processo di primo grado, di due distinte associazioni per delinquere semplici: l’una dedita prevalentemente a reati di estorsione, l’altra facente capo a Buzzi e Carminati, impegnata in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana ovvero in enti a questa collegati”, si legge in una nota della Suprema corte, che anticipa il deposito delle motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Mafia Capitale da oggi a disposizioni delle parti. Un verdetto che di fatto ricalca quello emesso tre anni fa in promo grado.
“Collusione generalizzata e sistemica”
“Senza affatto negare che sul territorio del comune di Roma possano esistere fenomeni criminali mafiosi, come questa Corte ha avuto modo di affermare, ha spiegato che i risultati probatori hanno portato a negare l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso: non sono stati infatti evidenziati né l’utilizzo del metodo mafioso, né l’esistenza del conseguente assoggettamento omertoso ed è stato escluso che l’associazione possedesse una propria e autonoma fama criminale mafiosa”, sostengono gli ermellini. “Quello che è stato accertato – sottolineano i giudici – è un fenomeno di collusione generalizzata, diffusa e sistemica, il cui fulcro era costituito dall’associazione criminosa che gestiva gli interessi delle cooperative di Buzzi attraverso meccanismi di spartizione nella gestione degli appalti del Comune di Roma e degli enti che a questo facevano capo. Ciò ha portato alla svalutazione del pubblico interesse, sacrificato a logiche di accaparramento a vantaggio di privati. Il quadro complessivo riporta un “sistema” gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimonio della pubblica funzione. Una parte dell’amministrazione comunale si è di fatto consegnata agli interessi del gruppo criminale che ha trovato un terreno fertile da coltivare”.
La sentenza di ottobre
Il reato di associazione mafiosa, infatti, era stato escluso dal primo grado e poi riconosciuto dalla sentenza d’appello. I Supremi giudici, però, avevano annullato facendo cadere molte accuse contestate a Buzzi e Carminati. Ed era un annullamento senza rinvio: la Cassazione, infatti, ha riqualificato l’associazione mafiosa in associazione a delinquere semplice. Si celebrerà un nuovo processo d’Appello, ma solo per la rideterminazione della pena in relazione all’associazione a delinquere semplice contestata solo ad alcuni dei 32 imputati. Tra questi ultimi anche Buzzi e Carminati. Inoltre, per quanto riguarda Buzzi, la Cassazione lo ha assolto da due delle accuse contestategli, di turbativa d’asta e corruzione, mentre per Carminati cade anche un’accusa di intestazione fittizia di beni.
“Corruzione sistematica ma non mafia”
I fatti, secondo i giudici, raccontano “anche di imprenditori che hanno accettato una logica professata da Buzzi e dai suoi sodali, basata sugli accordi corruttivi, intercorsi tra funzionari pubblici e imprenditori, convergenti verso reciproci vantaggi economici. In questo modo si è limitata la libera concorrenza e ciò è avvenuto attraverso forme di corruzione sistematica, non precedute da alcun metodo intimidativo mafioso. Alla fine è stata confermata la responsabilità penale di quasi tutti gli imputati per una serie di gravi reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per la partecipazione alle associazioni criminali, ribadendo sotto questi profili le precedenti decisioni di merito. L’annullamento con rinvio alla Corte di appello di Roma per qualche imputato – si spiega infine – è stato determinato dalla necessità di un nuovo giudizio sulla responsabilità per reati contro la pubblica amministrazione, nella maggioranza dei casi, invece, dalla necessità di operare una rideterminazione della pena a seguito dell’esclusione del carattere mafioso delle due associazioni criminose”. “La valutazione operata dalla Corte di appello si rivela gravemente erronea. È di palmare evidenza che non solo non risulta la ‘disponibilità di armi’ – sottolineano i giudici – ma neanche sono state dimostrate nel giudizio le ‘strette relazioni con gli altri gruppi mafiosi’ (la stessa motivazione della sentenza di appello la esclude) mentre ‘lo sfruttamento della forza di intimidazione’ è circostanza che questa Corte di Cassazione, nelle sentenze citate, basava su di un determinato materiale indiziario, ma che il tribunale, sulla scorta dell’istruttoria dibattimentale, che certo non è stata di mero completamento di prove formate in fase di indagine, ha smentito”.
Due associazioni semplici
“La Cassazione ha escluso il carattere mafioso dell’associazione contestata agli imputati e ha riaffermato l’esistenza, già ritenuta nel processo di primo grado, di due distinte associazioni per delinquere semplici: una dedita prevalentemente a reati di estorsione, l’altra facente capo a Buzzi e Carminati, impegnata in un a continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione romana ovvero in enti a questa collegati”. I giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma, il 20 luglio 2017, pur infliggendo pene molto alte esclusero il 416 bis. Nelle motivazioni fu spiegato che si riteneva l’esistenza di “due diversi gruppi criminali“, uno facente capo Buzzi e l’altro a Carminati, ma nessuna mafia: né “autonoma” né “derivata” perché di fatto assente quella violenza, quella intimidazione che caratterizza le organizzazioni criminali, che vengono riconosciute nell’articolo 416 bis. E né la corruzione, per quanto pervasiva, sistematica e capace di arrivare fino al cuore della politica, può essere considerata mafia. Di diverso parere erano stati i giudici di secondo grado che invece avevano riconosciuto l’esistenza di un’associazione mafiosa con tanto di data di nascita e di morte. Ma la Suprema corte ha “cassato” quel verdetto. “Il vero errore della Corte di appello era di avere preso per buona la ricostruzione della fase cautelare. La vera lezione, per tutti, anche per l’opinione pubblica, è – afferma l’avvocato Cesare Placanica, difensore di Massimo Carminati – di non considerare oro colato le ordinanze cautelari, crocifiggendo dei cittadini, perché spesso, come in questo caso, sono smentite dai processi“.
Mafia capitale, un clan con una data di nascita e di morte: così Buzzi e Carminati crearono un’unica associazione criminale[/box_correla
I giudici: “Una parte del Palazzo non conquistato, ma consegnato”
“Volendo ricorrere a una metafora, può dirsi che è una parte del ‘Palazzo’ non è stata conquistata dall’esterno, dalla criminalità mafiosa, ma si è consapevolmente ‘consegnata’ agli interessi del gruppo che faceva capo a Buzzi e Carminati; un gruppo criminale che ha trovato un terreno fertile da coltivare” – si legge nelle motivazioni della sentenza – Le risultanze probatorie del processo non consentono affatto di affermare, sul piano generale ed astratto, che sul territorio del Comune di Roma non possono esistere fenomeni criminali mafiosi, quanto, piuttosto, che, con specifico riguardo al caso in esame, si è indebitamente piegata la tipicità della fattispecie prevista dall’articolo 416 bis per farvi confluire fenomeni ad essa estranei. Ma le strettoie del diritto e del processo – si sottolinea – non possono essere superate per andare al cuore empirico della vicenda, massificando in tal modo condotte, responsabilità individuali, principi giuridici fondanti”. Un passaggio che viene così commentato dal presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra.
Morra (Antimafia) – “Non riconosciuta associazione, ma a Roma mafia c’è”
“La Cassazione ha confermato che Buzzi e Carminati erano impegnati in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana. Una conferma che non stupisce di certo me, Virginia Raggi e chi conosce realmente il malaffare romano e non solo. Qualcuno obietterà che però non viene riconosciuta l’associazione mafiosa per l’organizzazione di Buzzi e Carminati. È vero ma ciò non vuol dire che a Roma non esista la mafia – scrive in un post su Facebook Morra – È la stessa Corte a chiarirlo e vi prego di condividere questo passaggio: ‘Senza affatto negare che sul territorio del comune di Roma possano esistere fenomeni criminali mafiosi, come questa Corte ha avuto modo di affermare, ha spiegato che i risultati probatori hanno portato a negare l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso’. La mafia a Roma c’è. La corruzione della politica romana negli anni passati è stata sistematica da parte del ‘mondo di mezzo’. Chi non vede nella lotta al crimine una battaglia prioritaria da portare avanti a Roma, e nega i primi risultati della stessa, è in malafede”.
(Il Fatto Quotidiano)