Secondo l’Osservatorio di Cottarelli le misure possono assorbire tutto il Recovery Plan.
In testa turismo (29%) e infrastrutture (26%).
La spesa corrente (56%) batte gli investimenti
L’attuazione integrale delle proposte che scandiscono le 121 pagine di schede in cui è articolato il piano Colao potrebbe chiedere fino a 170 miliardi di euro in cinque anni. Coincidenza vuole che si tratta esattamente della somma che fra prestiti e trasferimenti arriverebbe all’Italia dal Recovery Plan, sempre che l’ipotesi presentata nelle settimane scorse dalla Commissione Ue riesca a superare non troppo ammaccata le settimane di trattative che l’attendono in vista del prossimo Consiglio europeo di metà luglio.
Un’altra coincidenza fortunata è offerta dal calendario della spesa: perché la maggioranza dei suggerimenti avanzati dal comitato guidato dall’ex ad di Vodafone non può tradursi in spesa immediata, ma deve essere preceduta da un lavoro di preparazione più o meno lungo a seconda dei casi. Quest’anno, di conseguenza, per far partire i contenuti delle schede potrebbero bastare 4,5 miliardi di euro: cifra non proprio impossibile in attesa che il meccanismo in discussione a Bruxelles assuma un ritmo un po’ più dinamico. Tanta identità con il cantiere comunitario sfuma però sulla natura della spesa: perché i fondi europei andrebbero riservati agli investimenti, mentre nel piano Colao una parte maggioritaria (56%) sarebbe destinata alle uscite correnti: che devono trovare coperture nazionali anche perché spesso finanzierebbero misure permanenti, mentre i fondi Ue per la «ricostruzione» hanno un’inevitabile natura temporanea.
Pochi numeri e coperture da individuare
La traduzione in cifre del piano finito con qualche difficoltà a inizio settimana sui tavoli degli Stati Generali a Villa Pamphilj arriva dall’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica diretto da Carlo Cottarelli. E colma quella che secondo molti critici, anche dalle parti del governo, è stata una delle lacune principali del progetto messo a punto dal gruppo di esperti che ad aprile era stato ingaggiato come «task force per la fase 2»: l’assenza di numeri e un’attenzione non esattamente maniacale per i problemi di copertura di alcune idee, come il rinvio generalizzato dei saldi 2019 e dei primi acconti 2020 delle imposte.
Proprio questo aspetto ha rappresentato la sfida, e la difficoltà principale, dei tecnici dell’Osservatorio. Che per misurare l’impatto sui conti della strategia disegnata dal comitato hanno dovuto elaborare più di un’ipotesi su estensione, platea e intensità delle proposte, a volte aggrappandosi a misure simili già assunte in passato.
Il risultato, insomma, non va preso al centesimo. Ma è utile per inquadrare le dimensioni della discussione e l’impostazione complessiva di una strategia che altrimenti è destinata a rimanere prigioniera dei dibattiti teorici su questa o quella misura e delle diffidenze che tanti pezzi del governo hanno alimentato per un coordinamento mai avviato con le ambizioni strategiche di Palazzo Chigi, il lavoro del Mef sul Piano nazionale di riforma e le spinte di tanti ministeri.
La geografia delle priorità
Il linguaggio dei numeri riesce allora decisamente più chiaro nell’indicare la geografia delle priorità elaborate dal comitato Colao. Fra le grandi voci di spesa primeggiano gli interventi dedicati direttamente a individui e famiglie, che dopo un avvio lento (1,2 miliardi il primo anno) assorbirebbero nel complesso fino a 56,8 miliardi, cioè il 34% del “costo” totale del piano. A spingere questo numero sono prima di tutto le proposte sull’estensione della copertura di asili nido al 60% dei bambini: qui il costo è determinato dallo stato comatoso del nostro welfare locale, che in media offre il posto al nido al 13% della platea potenziale, a cui si aggiunge un 11% messo a disposizione dai privati. Ancora più “cara” è l’idea del riordino degli aiuti alla genitorialità in un assegno unico, che però ha in sé anche la copertura perché in linea con i progetti governativi convoglierebbe nel nuovo strumento gli incentivi sparsi fra il meccanismo dell’Irpef e gli aiuti spot già previsti dall’ordinamento.
Poli turistici e Alta velocità
Ma il cuore vero degli impegni economici chiesti dal piano Colao si incontra a cavallo fra Turismo e Infrastrutture, con la creazione dei Poli turistici, la riqualificazione dei porti e le linee ad Alta velocità Bologna-Taranto e Salerno-Palermo. I due capitoli assorbirebbero nel loro insieme il 55% delle risorse mosse dal piano, lasciando alle misure specifiche per «imprese e lavoro» solo il 7% del totale, tra rafforzamento dell’Ace, sostegno all’export e il potenziamento di Industria 4.0.
In realtà nelle schede del piano si incontrano anche proposte potenzialmente esplosive per le imprese come le compensazioni generalizzate fra imposte e crediti fiscali e commerciali. Ma qui anche lo sforzo di misurazione dell’Osservatorio di Cottarelli si ferma: per le stesse incognite sui numeri effettivi che animano i «no» pronunciati sul punto dal Mef.
(Il Sole24Ore)