18 Luglio, 2024
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Carabinieri Piacenza, Montella per tre ore davanti al gip. Il legale: “Ha pianto e risposto a tutte le domande”

Sono ripresi nel carcere ‘Le Novate’ di Piacenza gli interrogatori di garanzia dei carabinieri arrestati mercoledì nell’ambito dell’inchiesta della procura della città emiliana che ha scoperchiato una serie di reati commessi dai militari della stazione Levante. L’interrogatorio più atteso è quello dell’appuntato Giuseppe Montella, considerato dagli inquirenti e investigatori al vertice della piramide di quel sistema criminale che era stato messo in piedi nella stazione dei carabinieri. Un personaggio che, dice il gip nell’ordinanza, era convinto di poter tenere “qualunque tipo di comportamento, vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile”. Non è così però secondo il suo avvocato Emanuele Solari che, arrivando in carcere, non ha escluso la possibilità che Montella possa rispondere al gip. “Probabilmente risponderà alle domande – ha detto ai cronisti – è molto provato”. L’interrogatorio è in corso. Nel frattempo, dalle carte dell’inchiesta, emergono altri particolari su quanto succedeva nella caserma Levante finita sotto sequestro.

Carabinieri Piacenza, la difesa di Montella: “Ha pianto. Si può sbagliare per vanità o ingenuità”

Gli interrogatori

Si è avvalso invece della facoltà di non rispondere Salvatore Cappellano, il militare che il giudice definisce “l’elemento più violento della banda di criminali”. Mentre gli altri tre carabinieri sentiti tra ieri e oggi all’interno del penitenziario hanno collaborato rispondendo alle domande di gip e pm. Oggi è apparso di fronte al gip anche Giacomo Falanga, il carabiniere che appare in una foto con Montella e due presunti spacciatori mentre tengono in mano mazzette di soldi. I due, assieme a Montella, erano soliti ricompensare gli spacciatori che fornivano informazioni, ha scritto tra l’altro il giudice nell’ordinanza, con della droga che era custodita in caserma, in un contenitore chiamato “scatola della terapia”. “Il mio assistito – ha detto l’avvocato di Falanga Daniele Mancini – ha partecipato agli arresti ma non sapeva nulla di quello che c’era dietro”. La foto con i soldi in mano insieme agli spacciatori “si riferiva a una vincita al gratta e vinci”, le violenze su un nigeriano “erano solo una spacconata”; l’uomo si sarebbe ferito cadendo. Questo avrebbe raccontato il militare agli inquirenti. Falanga, ha spiegato il legale, “ha risposto a tutte le domande e fornito tutte le delucidazioni sugli episodi che lo riguardano”.
L’avvocato Emanuele Solari, il legale di Giuseppe Montella: “Si può sbagliare, si possono fare errori, per ingenuità, per vanità, per tante cose. Certe condotte possono avere rilevanza penale e chi ha sbagliato pagherà”. Il carabiniere ha risposto per tre ore a tutte le domande che gli sono state poste, “fornendo tutte le informazioni che poteva”, ha spiegato l’avvocato. “C’è la volontà di spiegare e ci saranno ulteriori riscontri. È stato collaborativo al cento per cento nel rispetto della giustizia. E’ una persona molto provata” e durante l’interrogatorio di garanzia “ha pianto”.

 

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Le carte dell’inchiesta

Lo scorso gennaio, davanti agli investigatori, un giovane pusher marocchino, informatore del gruppo di carabinieri, descrive la figura di Montella come leader del gruppo. Lo aveva conosciuto molti anni prima perché faceva il preparatore atletico di una squadra di calcio di cui aveva fatto parte. “Principalmente parlavo con Montella – ha raccontato – il quale mi diceva che comunque tutti gli altri carabinieri della stazione erano ‘sotto la sua cappella’, compreso il comandante Orlando… alcune volte ho parlato anche con Falanga”. Il ragazzo è l’autore degli audio messaggi inviati al maggiore Rocco Papaleo e fatti poi ascoltare da quest’ultimo alla polizia locale di Piacenza. In cambio delle ‘soffiate’ per eseguire gli arresti, lo spacciatore veniva poi pagato da Montella con parte della doga sequestrata (oppure in denaro), presa da un contenitore che si trovava in caserma e ribattezzato ‘scatolo della terapia’. “Non ho più visto da quando mi aveva picchiato in caserma – racconta ancora a verbale lo spacciatore – mentre mi ha mandato un messaggio su Facebook dove mi diceva di smetterla di dire cose sul suo conto perché mi conveniva”.

Anche il comportamento dello stesso Papaleo, ora comandante a Cremona ma fino al 2013 alla guida del nucleo investigativo, presenta alcune ambiguità. Intercettato al telefono dopo aver fatto partire l’inchiesta, parla spesso di droga con una ballerina, e le racconta addirittura di come una volta, durante una retata, è rimasta “seppellita due ore in una buca” perché aveva con sè 30 grammi di stupefacente.

Il legame con il maggiore della caserma

“A Rivergaro e a Bobbio gli devo fare un culo così, è una questione di orgoglio, mi gira il culo che gente che rispetto a voi non vale un cazzo fa i figurini con il colonnello, con il comandante della Legione eccetera. Io parlo a nome della compagnia di Piacenza, è una questione di dignità”. Parole dell’ormai ex comandante della compagnia carabinieri di Piacenza, il maggiore Stefano Bezzeccheri, rivolgendosi all’appuntato Giuseppe Montella, ora entrambi indagati. Negli atti dell’inchiesta i pubblici ministeri che hanno condotto le indagini definiscono “confidenziale” il rapporto tra Bezzeccheri e Montella e ripercorrono alcuni episodi in cui il primo spingeva il secondo, e gli altri militari della stazione, a conseguire più risultati di servizio possibili per contrastare i successi ultimamente appannaggio dei colleghi di Bobbio e di Rivergaro. L’inchiesta coordinata dal procuratore capo Grazia Pradella ipotizza proprio che i carabinieri realizzassero sistematicamente arresti illegali appositamente per sequestrare droga da rivendere, sia per arricchirsi sia per acquisire prestigio professionale. “Senti un po’, io ti devo parlare a quattr’occhi, in borghese, al di fuori del servizio, quanto prima”, diceva, intercettato, Bezzeccheri a Montella a febbraio. “Adesso vediamo di farne il più possibile (di arresti, ndr), anche settimana prossima, almeno di farne altri tre-quattro”, gli rispondeva Montella

(La Repubblica)

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