Ieri il debutto in un’assemblea online, «Un’impresa collettiva contro le diseguaglianze»
Sarà una rete «ecologista, femminista di sinistra» e «innovativa» giurano in molti e molte, un’affermazione ma anche una raccomandazione. Il nome non c’è ancora, i lavori sono in corso. Ma i nodi principali ormai sono stretti e ieri i settanta interventi di una maratona online di sette ore – dai siti ilmanifesto.it, radioradicale.it, left.it ma ripetuti anche da molti profili facebook – hanno composto un romanzo corale, un discorso collettivo su una storia futura a lungo covata, iniziata prima della pandemia, e ieri diventata pubblica.
L’intenzione è – sia detto senza enfasi e con tutte le cautele del caso – chiudere con le stagioni delle cicliche e rituali nascite e rinascite della sinistra. C’è qualche presupposto: la rete stavolta non si salda intorno a un leader – o a una leader, il genere cambierebbe la natura del rischio – ma cammina sulle gambe di un collettivo, fra parlamentari, società organizzata, studiosi. Altra novità è l’interesse ravvicinato di molti sindaci (parla quello di Parma Pizzarotti e quello di Latina Coletta, ma si sa dell’interesse di Sala di Milano e De Magistris di Napoli).
«Una rete open source, non proprietaria», riassume l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio nelle conclusioni, «un’impresa collettiva, cooperativa. Non un uomo solo al comando ma neanche una collezione di figurine ma un processo politico vero» che ridà cittadinanza alla parola «conflitto». E infine, altra novità, stavolta non si presenta come un rimescolamento di carte fra i protagonisti della sinistra radicale degli ultimi decenni. C’è un forte reinnesto civico e ambientalista. E una forte componente di ex 5 stelle e persino di 5 stelle in servizio.
L’OBIETTIVO È,
spiega Elisabetta Piccolotti, «un futuro insieme, per l’Italia, l’Europa e il pianeta». Primo, incidere sulle scelte che il governo farà sul Recovery Plan per far uscire il paese dalla crisi. Per definire queste proposte a settembre sono in programma «gli stati soldati semplici» (Smeriglio) diversi dalla kermesse degli Stati generali del premier Conte. E poi un appuntamento a ottobre per un’assemblea in presenza e un nuovo step organizzativo. «Rete» è la parola più usata, ma in molti, molte donne, tutte amministratrici (Nalin di Padova, Allegni di Bertinoro e Clancy di Bologna) chiedono senza complessi «una nuova casa comune» per «non essere soli ad affrontare problemi che invece molti stanno affrontando». Di «comunità di pratiche» parla la milanese Pirovano.
«TUTTE QUESTE VOCI DICONO
che la rete c’è già», rassicura Amedeo Ciaccheri, minisindaco di Roma e portavoce di Liberare Roma, «già si esprime nei territori, e non teme il corpo a corpo con il nazionalismo, in Europa ma anche per le strade dei nostri quartieri». «È importante restare con una mano tesa, restare aperti», avverte Paolo Lattanzi, deputato 5 stelle. «Attendiamo quelli che hanno un altro passo, verso una forza politica, di cui l’esigenza si sente», spiega Massimo Zedda, ex sindaco di Cagliari. «Ora non mi interessa prendere una nuova tessera, l’importante è stabilire che la clandestinità è finita»,risponde la senatrice Loredana De Petris, «dobbiamo fare in fretta, rendere visibile una rete ecosolidale, perché dopo la crisi la tentazione di fare passi indietro è forte. Non possiamo permettere che si possa uscire con modelli fallimentari».
È LA PREOCCUPAZIONE principale.
Il dibattito si ordina in cinque sessioni tematiche, poi la plenaria virtuale finale. Ogni sessione è un capitolo del ragionamento programmatico di un’area polifonica e plurale che però in (quasi) ogni caso vede nell’esecutivo giallorosso un’opportunità. Ne parla anche Norma Rangeri, direttrice del manifesto. «Leali con il governo ma pronti a dare battaglia» (Smeriglio). Per Peppe De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione questo governo «non è solo il più avanzato possibile data la base elettorale ma anche un governo più avanzato del centrosinistra», «ma servono elementi di autonomia». Avverte però Nichi Vendola: «Gli appelli all’unità mi convincono relativamente, se siamo d’accordo sui valori poi non possiamo legittimare i gangster del Mare Nostrum».
SI RIFERISCE ALLE POLITICHE sui migranti.
Nella sezione sui diritti umani e sulla Libia il racconto di Cecilia Strada di Mediterranea dimostra che la politica ostile alle navi delle Ong è in continuità con l’era gialloverde.
SI PARLA DI CITTÀ,
il luogo del «vivere insieme» (Luparelli, Clancy, Genna, Nalin, Limonta, Pastorino, Schingaro), di federalismo municipale (Ciaccheri); di lavoro con Michele De Palma, Fiom, e Enrico Giovannini, ex ministro e portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che avverte sui rischi dello smartworking. «La Confindustria sta dettando l’agenda» lamenta la senatrice Paola Nugnes. «Patuanelli dove sei» si appella al ministro il consigliere piemontese Grimaldi parlando della vertenza ex Embraco. Sul nodo della transizione ecologica l’ex ministro Lorenzo Fioramonti chiede che «le famiglie dell’ecologismo e il progressismo si mescolino», e dopo di lui Philippe Lamberts, copresidente dei Verdi europei, augura un cammino comune.
Ma lo storico leader dei Verdi Angelo Bonelli spiega che se questa mescolanza ha portato a importanti vittorie in alcune città francesi, in Italia è più complicato: «Se il problema è rifondare la sinistra non ci interessa. Ci interessa se si tratta di una grande innovazione politica e culturale». C’è un’interruzione sulla linea, è Vendola, sembra intenzionale poi l’interessato spiega di no.
PROBLEMI DI RETE,
e di collegamenti, dentro e fuori metafora. Temi comunque da affrontare. Consapevoli «di tutto quello che abbiamo sbagliato fin qui», ammette De Cristofaro, ma se «la pandemia cambia tutto, il segno di questo cambiamento non è scontato. Per questo servono idee, ma anche la forza perché si affermino» dice Nicola Fratoianni, coordinatore di Si. Ora «c’è una credibilità da riconquistare» (Serena Spinelli). Con una raccomandazione, avverte Andrea Morniroli del Forum Disuguaglianze e Diversità: «Ho visto tanti tentativi di questo tipo. C’è un grande bisogno di rappresentanza politica, non va svilito nell’autogaranzia di ceto. Deluderlo vorrebbe dire essere collusi con la normalità di prima».
(Il Manifesto)