25 Novembre, 2024
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Covid, stato d’emergenza prêt-à-porter: proroga fino al 15 ottobre

Conte decide di prorogare lo stato d’emergenza. La data figlia di un compromesso politico (fra Pd-Iv e il premier) più che di una valutazione scientifica della pandemia

Stato di emergenza prorogato fino al 15 ottobre. Due settimane in meno di quanto inizialmente proposto dal governo. Un compromesso tra il 21 settembre, secondo e ultimo giorno delle elezioni regionali e del voto sul referendum sul quale fino a qualche ora fa si erano impuntati il Partito democratico e Italia viva, e il 31 ottobre, data proposta da Giuseppe Conte e dal governo.

Il presidente del Consiglio è arriva in aula al Senato alle 16.30. Un passaggio parlamentare, con tanto di voto, voluto proprio da Conte per mettersi al riparo dalle critiche di muoversi come uomo solo al comando. Perché per la proroga sarebbe bastata una delibera del Consiglio dei ministri, in quanto tale non sottoposta a un vaglio parlamentare. La strada scelta dal capo del Governo è stata prudenzialmente quella di evitare ulteriori tensioni in una maggioranza già sfibrata da veleni e discussioni.

Per questo da tre giorni le diplomazie sono al lavoro per trovare un faticoso compromesso. Il Movimento 5 stelle inizialmente si era allineato a Conte sulla deadline fissata per fine ottobre, “ma su questo non facciamo barricate, non aveva senso”, commenta un sponente di governo pentastellato. Ecco così il compromesso tutto politico e che poco ha a che fare con esigenze empiriche derivanti dalla pandemia del 15, semplice via di mezzo tra le due posizioni in campo. “Una scelta salomonica”, spiega sconsolato un senatore del Pd.

Sui paletti per definire il perimetro di cosa potrà o non potrà fare il governo, il negoziato prosegue fino all’ultimo miglio. Fino all’inizio dell’intervento di Conte a Palazzo Madama il nodo ancora non era stato sciolto. Anzi: la trattativa è continuata anche durante il discorso del presidente, iniziato poco dopo le 16.30: “C’è tempo fino alle sei e mezza”, spiegano le parti in causa, puntando sull’orologio sull’orario previsto per il voto. Il paradosso è che i senatori si troveranno a votare un testo di cui prenderanno visione, se tutto va bene, appena una manciata prima di schiacciare il tasto.

Pd e Iv chiedono che, nella cornice dello stato d’emergenza, si proceda con decreti (da sottoporre dunque al vaglio delle Camere) nel caso di creazione di eventuali zone rosse e di nuove limitazioni delle libertà personali, e che nell’uno e nell’altro caso siano stabilite sempre attraverso una legge primaria le date di inizio e di fine.

Incontrando la resistenza sia di Palazzo Chigi, sia di alcuni ministeri interessati. Se ci trovassimo nuovamente in una situazione critica come quella di inizio marzo, il ragionamento, i dpcm e i decreti ministeriali garantirebbero una maggiore flessibilità e velocità d’azione. “Sempre confrontandosi e relazionandosi con il Parlamento – dice una fonte vicina al dossier – perché si spera che la proroga serva solo per garantire continuità alle attività in deroga del commissario e la continuità operativa”.

Anche per questo Conte è stato molto prudente nel suo intervento, non definendo il perimetro della delibera che assumerà il governo anche “per rispetto del dibattito parlamentare”. “Il virus circola ancora – ha spiegato il premier – lo stato di emergenza ”è necessario per affrontare con efficacia la situazione emergenziale”. Lo stato di emergenza consentirebbe di continuare a “emanare norme in deroga a disposizione vigente”, e garantirebbe la continuità operativa. Senza “cesserebbe la funzione di coordinamento della Protezione civile e i poteri speciali dei soggetti attuatori”, oltre a decretare la fine del Comitato tecnico-cientifico”. Con la proroga, i cui tempi sono stati genericamente fissati dal premier “al mese di ottobre”, “il presidente del Consiglio non sarebbe autorizzato autorizzato a emanare dpcm”. Quel potere, ha cercato di rassicurare Conte, richiederà un nuovo decreto legge che sarà sottoposto al Parlamento”. Assicurazioni che, al momento, non fatto breccia negli interlocutori di maggioranza.

(Huffpost)

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