Pronta per le primarie
Amo la mia città, sono stata consigliera comunale per vent’anni. Sto valutando se partecipare alle primarie, che auspico si tengano. Sosterrò chiunque le vincerà. Le primarie servono a dare vita a una coalizione larga che vada oltre i partiti, aperta alle esperienze civiche: si deve sempre passare per il consenso. Vale per Monica, Zevi, Caudo».
Monica Cirinnà non si nasconde: dopo cinque mandati da consigliera comunale, dopo l’elezione al Senato, è uno dei nomi della rosa Pd per la candidatura a sindaco.
Una candidatura ben vista dal mondo LGBT ma quasi certamente avversata dalle «comitive» di tipo confessionale.
«La questione non è la sfida cattolici contro laici. Penso di poter rappresentare un’area trasversale, dentro e fuori il PD, che si occupa di diritti civili e sociali, che sono un tutt’uno. È un diritto avere la città pulita come avere un congedo parentale. Su questo credenti e non credenti trovano il terreno per un impegno comune, lasciando insieme un segno nel tempo che vivono».
Disposta a fare accordi anche con i 5Stelle, magari al ballottaggio?
«Lavoro con i 5Stelle al Senato da tempo. Avevamo posizioni lontane, c’è stata una loro evoluzione su tanti temi. Su Roma il discorso però è diverso: la crisi della città è sotto gli occhi di tutti, causata dal no perenne, a partire dalle Olimpiadi. Per vincere, non dobbiamo solo sottolineare le grandi mancanze di questa sindaca, ma concentrarci in positivo per recuperare le romane e i romani che, delusi da destra e sinistra, hanno creduto alle promesse dei 5Stelle. È un errore pensare che chi va al ballottaggio si possa accordare con chi ne è rimasto escluso. A Roma c’è un 40 per cento di indecisi e delusi, anche elettori grillini. È a quell’elettorato che dobbiamo parlare, non all’establishment».
Anche perché i 5Stelle non sono la vecchia Dc o il vecchio Pci con dirigenti in grado di controllare pacchetti di voti.
«Non credo al “travaso” dei voti. Nell’elezione del Sindaco è determinante che il candidato crei una sua sintonia profonda con gli elettori, suscitando emozioni. Non penso che questo possa essere trasferito su un altro candidato. Chi arriverà al ballottaggio dovrà rivolgersi a tutti i cittadini. Il secondo turno è una partita nuova e solo così si può battere una destra oscurantista e pericolosa».
Esiste una destra che le piace, non oscurantista, non pericolosa?
«Quella liberale, di Carfagna, di Prestigiacomo, di colleghe con cui lavoro oggi per trovare un’intesa sulla legge contro l’omofobia. Una destra liberale, legata anche al mondo cattolico democratico».
C’è un candidato nel centrodestra che teme?
«Più che un nome posso tracciare un identikit».
Tracci.
«Potremmo essere insidiati da persone moderate, non legate alla ritualità del “camerata nero”, o avere una forte competizione con chi, anche a destra, si occupa di povertà ed emarginazione».
Sembra l’identikit di Guido Crosetto.
«Non è romano anche se vive a Roma, persona per bene che stimo. È un identikit che potrebbe corrispondere ad altri profili nel centrodestra».
Parafrasando la canzone di Valeria Rossi, “Dammi tre parole”, tre punti di partenza per lavorare su Roma?
«Manutenzione: pulizia, cura del verde, illuminazione pubblica, buon funzionamento del trasporto urbano, con grande attenzione alle aree più fragili. Lavoro: che vuol dire rilanciare ogni possibilità di occupazione per i romani e creare le condizioni per far rimanere i laureati a Roma. Vuol dire transizione ecologica, ricerca, servizi di qualità, commercio, turismo, una città attrattiva: non il disastro Raggi che ha fatto scappare tutte le grandi aziende, anche multinazionali. “Visione”: Roma deve riprendersi il suo ruolo in Italia e nel mondo. Per questo propongo a tutti i candidati di firmare da subito una “pax romana”: anche chi perderà le elezioni dovrà fare un leale gioco di squadra per chiedere a Governo e Parlamento la piena attuazione della riforma dell’ordinamento di Roma Capitale, soprattutto per quel che riguarda la consistenza dei fondi destinati Roma»
(Il Tempo)