24 Novembre, 2024
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Pellegrini d’estate. Il Cammino di San Francesco.

Sono tante le vie per ripercorrere i passi del poverello di Assisi, attraversando le colline di Toscana, Umbria e Lazio. La strada per condividere la provvidenza, 450 chilometri in 23 tappe più una

«Pensa papà, noi abbiamo il poncho che ci protegge dalla pioggia, gli scarponcini e lo zaino, San Francesco aveva i sandali, una bisaccia e il saio, e se pioveva si bagnava tutto. Però faceva lo stesso cammino che stiamo facendo noi». Così il mio terzo figlio, Filippo, allora quattordicenne, rifletteva, sotto una fitta pioggia, lungo il cammino che porta il nome del Poverello di Assisi. Eravamo nella Valle Santa di Rieti, tra i conventi di Poggio Bustone e Madonna della Foresta, terza tappa del percorso circolare che da Rieti porta a toccare anche gli altri conventi di Fonte Colombo e Greccio, luoghi molto noti della vita del Santo, legati a momenti fondamentali come il primo Presepe, la stesura della Regola, l’ideazione del Cantico delle Creature, l’operazione agli occhi. Tre giorni, circa 70 chilometri, immersi nella natura e nella vita francescana.

Un percorso ricco e completo, ma in realtà il vero Cammino di Francesco è molto più lungo,

e unisce il santuario della Verna, il luogo del dono delle Stimmate, a Roma, ben 450 chilometri da percorrere in 23 tappe (ma se si parte da Firenze bisogna aggiungere altri 7 giorni). Più che un cammino unico si tratta delle Vie di Francesco, un lungo percorso che incrocia varianti e percorsi più brevi, autonomi, come, appunto, quello della Valle Santa sui cui sentieri sono stato tre volte, da solo, con mia moglie Romana e con Filippo.

Sentieri e luoghi dove Francesco era ed è ancora presente. E lo stesso camminare ci riporta a lui. Nella ‘Regola bollata’, proprio quella nata a Fonte Colombo, definito proprio per questo ‘Il Sinai’, scriveva: «…consiglio poi, ammonisco e esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo… non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità…». Ce lo ricorda don Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, nella prefazione al recente libro, bello e completo, ‘Le Vie di Francesco’ (edicicloeditore) di Fabrizio Ardito, giorna-lista, speleologo e da più di quindici anni divulgatore dei cammini italiani e europei.

Un libro che è più di una guida, ma la narrazione dei luoghi percorsi dai ‘camminatori’ in saio,

sempre cercando, trovando e raccontando ciò che del Santo è ancora vivo. «Camminare con lui – scrive ancora don Matteo – ci fa contemplare anche l’umanità che Francesco cerca e che ama così com’è, che può vedere perché sceso da cavallo, si è fatto minore, cioè povero. E la vita la capiamo davvero solo da terra e con gli occhi degli ultimi». E, aggiunge, «la lentezza del cammino permette di cogliere appieno la bellezza e immaginare e rivivere l’umanità di un uomo evangelico dal quale emana il profumo dell’umanità primigenia, cioè dell’uomo come è stato pensato dal Creatore, libero dalla corruzione del male, pieno di quell’amore che permetteva di rendere le fiere mansuete e di toccare il cuore di tutti gli uomini».

Le Vie francescane, scrive Ardito, «non ricalcano un itinerario specifico di pellegrinaggio, stratificato dalla storia e celebrato dall’arte e dall’architettura». Non sono il Cammino di Santiago o la Francigena, ma «un’invenzione moderna» col «fortissimo obiettivo di creare un cammino di fede e di spiritualità che fosse il più possibile corrispondente al ricordo della figura del santo, alle sue peregrinazioni, al suo predicare di borgo in borgo nel cuore dell’Italia medievale».

Così il percorso o, meglio, i percorsi, attraversano Toscana, Umbria e Lazio, tra valli, assolati ulivi, fitti boschi, costeggiando fiumi dalle ricche acque come il Nera e il Velino e negli ultimi chilometri il Tevere. Toccando decine di luoghi della memoria francescana, da Assisi a sconosciuti conventi e chiesette. Un cammino di incontri imprevisti. Come quando in una piazzetta di Cantalice, ‘paese verticale’ lo definisce giustamente Ardito, ho incontrato una coppia di fidanzati romani (poi sposi). Chiara e Francesco – non lo sto inventando – in cammino anche loro. Ci salutiamo, parliamo, proseguiamo insieme verso Rieti. E scopro che Chiara è figlia di Maurizio, che è stato tanti anni fa mio caporeparto scout.

Succede lungo gli imprevedibili cammini.

Come accettare l’invito dei frati di Poggio Bustone a «condividere la Provvidenza», cioè a cenare insieme col cibo offerto dai cittadini, e poi alzarsi all’alba per recitare con loro le Lodi. O ancora osservare gli occhi attenti di mio figlio mentre, nella chiesetta piena di ricordi francescani, ascolta le storie dei giovani ex tossicodipendenti della Comunità Mondo X che hanno ridato vita al convento della Foresta e ai ricordi francescani compreso un incredibile orto-giardino dove crescono rigogliosi, uno accanto all’altro, fiori e ortaggi, a circondare un enorme Tau, la firma/simbolo di Francesco. Questo e tanto altro ho incontrato in appena tre giorni di cammino, col desiderio di tornare per fare almeno il percorso da Assisi a Roma, che il Poverello e i suoi fecero per recarsi da Papa Innocenzo III. Il camminare quando ti prende non ti lascia, soprattutto quando è ricco di natura, storia e fede come quello sulle orme di Francesco. Che non sono solo un ricordo. Molti dei luoghi dove i frati predicarono e vissero, sono ancora oggi abitati dai francescani o da altri religiosi, una presenza ospitale per pellegrini e ‘camminatori’.

Luoghi di grande bellezza e molto famosi come Sansepolcro, Città di Castello, Gubbio, Assisi, Spello, Trevi, la verdissima e ombrosa Valnerina che porta ancora le ferite dei terremoti del 2016 e del 2017, la non meno verde ma anche solare Valle Reatina. E altri meno noti al grande pubblico come l’eremo di Montecasale, Citerna, l’eremo del Buon Riposo, la pieve di Santa Maria, l’eremo di San Pietro in Vigneto, e tanti altri. Un cammino vario, anche come altimetria diversamente da quello di Santiago che solo nel valico di O Cebreiro ha una salita di un qualche impegno (in realtà più temuta che reale).

Qui le salite sono tante, in un paesaggio collinare e anche di mezza montagna. Ma è la bellezza di questo lungo cammino, da affrontare col passo lento. «Non si corre in questi itinerari – scrive ancora Zuppi –. La lentezza del cammino permette di cogliere appieno la bellezza e immaginare e rivivere l’umanità di un uomo evangelico». Perdersi è impossibile. La segnaletica è assicurata da tabelle e da segni di vernice gialli e blu. C’è tutto il tempo per osservare e immergersi nella natura, nella storia e nella fede. L’incontro con Francesco è proprio questo.

(Avvenire)

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