Anche l’estate 2020 è stata segnata da eventi climatici estremi in tutta la penisola. Non si tratta di meteo, ma di cambiamento climatico. Intanto, si preparano per fine settembre nuove mobilitazioni ecologiste globali
Quanto accaduto a Verona è forse stato l’apice di una situazione grave in molte regioni, che in alcuni casi ha spesso trovato spazio solo nelle cronache locali o nei commenti al meteo. Invece non si tratta di meteo, si tratta di un problema ben più grave, un problema globale, strutturale, storico e non circoscritto temporalmente come invece si intende quando si parla di meteo, il problema è il cambiamento climatico.
Per fortuna ormai il termine è stato sdoganato ed è utilizzato a volte anche nei media mainstream, ai quali però non dispiace ogni tanto tornare a utilizzare termini più glamour, come “bomba d’acqua”, “ondata di calore”, o il generico “maltempo”, e i commenti ai fatti di questa estate sono ancora pieni di queste locuzioni devianti e soprattutto deresponsabilizzanti.
Lungo il corso del 2020 la situazione di crisi climatica si è intrecciata con la crisi sanitaria dettata dalla Covid-19,
che sicuramente ha dominato maggiormente l’attenzione pubblica, fino pure alle distorsioni del rapporto tra le due crisi. Purtroppo si è detto troppe volte che il lockdown era stato utile al clima: qualcosa di strutturalmente errato, perché non possono certo essere due mesi con ridotte emissioni di Co2 a salvarci da un processo pluriennale che necessita un radicale cambiamento di rotta permanente per essere fermato.
Eppure il tempo scorre, come in una clessidra ci avviciniamo alla scadenza del 2030, l’anno che il panel degli scienziati Onu sui cambiamenti climatici (IPCC) delimita come il limite dopo il quale i processi irreversibili in atto inizieranno a essere incompatibili con la sopravvivenza della vita umana in ampie zone del pianeta.
Nelle zone temperate i cambiamenti climatici vengono percepiti con effetti quali quelli visti in Veneto, (improvvise piogge molto intense, trombe d’aria eccezionali, grandine ecc.) ma le temperature possono sembrare ancora sostenibili, anche se il mese di luglio è risultato il più caldo da quando si registrano le misurazioni. Più grave è però la situazione nelle zone più fragili della terra, quelle con il clima più rigido, cioè l’Artico e, alle nostre latitudini, l’alta montagna. Qui gli stessi cambiamenti sono più drastici e drammatici.
L’Artico è stato in forte sofferenza per tutta l’estate e, secondo un modello scientifico, potrebbe essere privo di ghiacciai permanenti già nel 2035, un dato allarmante a scala globale viste le ripercussioni sui mari, le temperature, le correnti, i venti e anche le pandemie.
A giugno proprio per lo scioglimento del permafrost, si è verificato un gravissimo incidente che ha determinato una fuoriuscita di petrolio a Norilsk. In tutta l’estate sono continuati gli incendi in Siberia con un aumento delle temperature all’interno del Circolo Polare estremamente preoccupante, fino ai 38 gradi raggiunti nella città russa di Verkhojansk, e in generale una media di 10 gradi superiore alla norma in tutta la Siberia, come riporta il centro studi europeo sul cambiamento climatico Copernicus.
L’elemento più preoccupante da ricordare è che nel frattempo le maggiori compagnie del fossile profittano di questa crisi per continuare a esplorare e perforare in zone dove la presenza dei ghiacci un tempo impediva l’accesso e ora invece sono accessibili causa disgelo del permafrost. In particolar modo in Siberia si porta avanti il mastodontico Yamal lng project, che vede coinvolte diverse aziende russe cinesi e francesi. Il progetto, iniziato nel 2013 vuole essere uno dei poli di estrazione di gas liquefatto più grandi al mondo ed è finanziato anche dalla nostra Banca Intesa. Eni invece, attraverso la sua controllata Saipem, ha ampie zone di interesse in termini di esplorazione in tutta la zona artica.
In Italia nel frattempo, ogni anno si constata la regressione (o la scomparsa) dei ghiacciai alpini. In particolar modo la Marmolada, la montagna più alta delle Dolomiti e delle Alpi Orientali ha raggiunto il suo limite minimo questa estate e si avvia verso la scomparsa addirittura nel giro di 15 anni secondo le ultime stime.
In Valle D’Aosta il Ghiacciaio della Val Ferret è sempre vicino al collasso.
Come sempre i media e l’industria turistica ha cercato di minimizzare la questione, per non ridurre l’afflusso di visitatori, o addirittura per creare nuovi motivi di richiamo come il ritrovamento di un rifugio scavato nel ghiacciaio della Marmolada e ora raggiungibile solo scalando. Magari tra qualche anno cercheranno di promuovere la “regina delle Dolomiti” come luogo di solarium.
Dovrebbe invece crescere la preoccupazione in modo serio perché perdere i nostri ghiacciai non è solo un problema turistico o estetico,
significa perdere un ecosistema con una serie di effetti a catena, tra i quali inondazioni e piene dei fiumi quali quelle che stanno avvenendo in Trentino in questi giorni.
I movimenti ambientalisti in questi anni hanno compiuto passi importanti nel far comprendere quanto non sia responsabilità del singolo individuo cambiare il drammatico processo in corso. Sicuramente è importante usare la bicicletta ed evitare l’aereo ma la possibilità di fermare la catastrofe sta nelle mani dei politici che devono radicalmente riconvertire l’economia e la produzione di energia, fermare le multinazionali del fossile e quindi fermare questo capitalismo predatore.
Al contrario, gli investimenti del tanto blasonato Green New Deal Europeo sono altamente insufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione nella produzione di Co2 al 2030,
nonostante il flusso mai visto prima di denaro determinato dal Recovery Fund. Il gas fossile, inquinante al pari di altri combustibili, continua a essere sbandierato come presunta energia pulita che guida investimenti e nuove esplorazioni e perforazioni in tutto il continente. Al Senato in questi giorni si propone persino un ritorno delle trivelle nell’Adriatico.
Si preparano a fine settembre le nuove mobilitazioni ecologiste globali dopo la botta di arresto dell’epoca Covid e il pianeta ne ha indubbiamente bisogno.
(Dinamopress)