24 Dicembre, 2024
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Venezia, il “cocciamatte” di Remo Rapino vince il Campiello 

In piazza San Marco finale a sorpresa del premio letterario

Vince «una cocciamatte», lo scemo del villaggio, pazzo sì, ma illuminato e illuminante.

È il protagonista di Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum fax), il romanzo che ha vinto un po’ a sorpresa il premio Campiello degli industriali veneti.

L’autore si chiama Remo Rapino, classe ’51, vive a Lanciano e insegnava Filosofia al liceo (quest’anno il Campiello era pieno di prof, magari indica un’alternativa al ritorno in classe con virus). Nella voce «sgarbugliata» di Liborio c’è tutto il ’900, la fabbrica e il manicomio, la guerra e la Resistenza, Mussolini e donn’Assunta «la maîtressa». «Lui è una via di mezzo fra Don Chisciotte e Forrest Gump, un personaggio ispirato da una canzone di De André e dalla volontà di raccontare una storia a partendo dalla marginalità», spiega Rapino. I giurati sono stati sedotti da una lingua che pesca nel parlato più sdrucito e spontaneo. Ma, ricorda l’autore, «è più difficile inventare un linguaggio che una storia». Battuto per 92 voti a 58, certificati dall’immancabile notaio, Sandro Frizziero con Sommersione (Fazi). Gli altri tre finalisti erano il torinese Ade Zeno, 44 voti, con L’incanto del pesce (Bollati Boringhieri), Francesco Guccini, 39, con la solita Pàvana, il borgo amato e spopolato, che diventa il vero protagonista di Tralummescuro – Ballata per un paese al tramonto (Giunti) e Patrizia Cavalli, 31, poetessa per la prima volta in prosa per Con passi giapponesi (Einaudi).

Quanto alla serata, quest’anno il Campiello, nomen omen, è tornato in piazza, anche se piazza San Marco è decisamente più grande e più bella di qualsiasi campiello.

Questa 58ª edizione era la prima (e anche l’ultima, si spera) in tempo di Covid: meglio dunque uscire dai consueti assembrati palchetti della Fenice e andare all’aperto. Lo spettacolo (lunghetto) c’era lo stesso, condotto da Cristina Parodi e immaginato dal regista Massimo Martelli come un Gran Galà della Letteratura, filo conduttore appunto le piazze come agorà degli scrittori. Il tutto davanti a 1.400 invitati molto chic e con molta voglia di festeggiare, dopo tutta questa clausura pandemica, anche se le mascherine che siamo abituati a vedere in piazza San Marco sono assai diverse. Clamoroso il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, in vestito e scarpe bianche con camicia nera, tipo Galeazzo Ciano al Lido.

Covid o non Covid, il Campiello rimane fedele alla linea.

Sempre due le giurie: una di letterati che screma i candidati, quest’anno un po’ meno ma comunque tantissimi, 225, e decide la cinquina finalista. Alla sua testa c’era Paolo Mieli, e tra i componenti Roberto Vecchioni e Philippe Daverio, doverosamente ricordato e applaudito durante la serata. Poi c’è la giuria dei 300 lettori, segretissimi, che eleggono il vincitore. Resta la filosofia di base riassunta da Piero Luxardo dell’omonimo maraschino, presidente del Comitato di gestione: «Noi non prendiamo in considerazione soltanto i libri di autori famosi di case editrici importanti», ergo «il Campiello è scarsamente manovrabile», frase che è sembrata una frecciata ad altri certami letterari (e altri liquori).

Sui premi, diciamo così, di contorno, nessuna suspense, erano già stati annunciati. Dunque, premio Fondazione Campiello, quello alla carriera, ad Alessandro Baricco; premio Campiello Opera prima a Veronica Galletta per Le isole di Norman (Italo Svevo); e premio Campiello Giovani per il racconto Meduse a Michela Panichi, che non è giovane ma giovanissima: 19 anni.

(La Stampa)

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