Johnson tenta l’azzardo, l’uscita senza accordo è dietro l’angolo e straccerebbe l’intesa firmata con l’Ue l’anno scorso.
Un buco nero per la diplomazia tra gli Stati
Quanto conta un accordo internazionale se chi lo ha firmato lo viola? Niente. Carta straccia e tanto danno al diritto internazionale, alle convenzioni diplomatiche tra gli Stati, alle relazioni pacifiche a livello globale. Ecco perché l’azzardo di Boris Johnson di approvare una legge nazionale (‘Internal market bill’) che fa a pezzetti l’intesa da lui stesso firmata con l’Unione europea l’anno scorso è mossa che può destabilizzare le fondamenta dei rapporti tra nazioni a livello globale. Stabilisce un precedente, oltre a rendere concreto il rischio di ‘no deal’: Brexit definitiva a fine anno senza accordo con Bruxelles.
All’inizio sembrava solo una minaccia da parte di un primo ministro in panne per la gestione della pandemia. E invece Downing Street fa sul serio. Oggi la Camera dei Comuni ha sconfitto il tentativo dei laburisti di emendare il testo della discordia, approvato ieri a Westminster con 390 voti favorevoli contro 263 contrari. Defezioni tra gli stessi conservatori (due no e una trentina di astensioni), ma Johnson ha vinto con una maggioranza di oltre 77 eletti.
E’ un altro passo verso il baratro del no deal.
Un altro passo verso un mondo in cui – questo prevede il provvedimento di Johnson – Londra, libera dall’Ue, potrà decidere di far transitare senza controlli le merci da e verso l’Irlanda del nord, in violazione dell’intesa firmata l’anno scorso con Bruxelles, secondo cui quelle merci andrebbero invece classificate come ‘esportazioni’. Il timore degli europei è che, senza gli opportuni controlli, quelle merci, libere dal rispetto degli standard dell’Ue, potrebbero ‘inquinare’ il mercato comune attraverso il confine tra Irlanda e Irlanda del nord, che non può essere fisico altrimenti violerebbe gli accordi di pace del ‘Venerdì Santo’ (1998).
Allergico a ogni coerenza, fedele a un certo modo di fare politica sempre urlata e interessata al risultato immediato (da Donald Trump passando per Johnson fino ai sovranisti di casa nostra), il leader conservatore si rimangia gli accordi per i quali pure ha esultato un anno fa, quando portò a casa il ‘Withdrawal agreement’, l’intesa sul ritiro del Regno Unito dall’Ue che, prima di lui, aveva fatto penare Theresa May a Downing Street. Solo un paio di settimane fa, il governo di Londra ha ammesso che l’Internal market bill “viola gli accordi internazionali”. A Bruxelles hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma di Johnson, evidentemente, non c’è da fidarsi.
E ora a Bruxelles sono “gravemente preoccupati”, riferiscono fonti Ue.
Gli europei attendono i prossimi sviluppi del dibattito a Londra, ribadendo la minaccia di ricorrere alle vie legali se Johnson non ritirerà il provvedimento entro fine mese. “La Commissione è stata estremamente chiara”, dice oggi il portavoce dell’esecutivo Ue Eric Mamer. Ma il primo ministro non sembra scomporsi.
Il calcolo è di tirare la corda all’estremo, per piegare gli europei sui punti ancora aperti del negoziato. A Bruxelles c’è chi si aspetta che Johnson punti al consiglio europeo di metà ottobre come occasione per l’ultimo negoziato. Ma ora, formalmente, la Gran Bretagna non ne fa più parte, a partire dall’intesa firmata l’anno scorso.
E allora, mentre l’Internal market bill prosegue semi-indisturbato il suo iter parlamentare, fa capolino l’ipotesi, mai così concreta, del ‘no deal’. Non sono serviti nemmeno gli appelli di quattro ex premier di diverso colore politico: David Cameron, John Major, Tony Blair, Gordon Brown. Non servono i ragionamenti di chi – come l’ex cancelliere dello Scacchiere Sajid Javid e l’ex attorney general Geoffrey Cox – si dice preoccupato per la reputazione del Regno Unito: da patria della ‘rule of law’, il rispetto dello stato di diritto, a nazione che non rispetta gli accordi internazionali.
Ma questo è il ‘mondo perfetto’ di Johnson.
O meglio: imperfetto, appositamente disarticolato in modo da poterlo piegare a seconda delle esigenze del momento, preferibilmente da non concordare con altri partner, se non conviene. Pur di ‘liberare’ le aziende britanniche dai condizionamenti europei, pur di recuperare i consensi persi con la caotica gestione della pandemia, Johnson lancia la carta del ‘no deal’. Ed evidentemente non ne teme le conseguenze, almeno al momento.
Significherebbe poter decidere autonomamente sulla propria economia. Sarebbe una minaccia concreta al mercato comune di una Ue che ancora non riesce a chiudere un accordo commerciale e sugli investimenti con la Cina. Anche lì fanno un po’ come gli pare, ma riescono a dettare legge nel mondo. Tanto che pure Johnson si ispira al modello Pechino, magari incosapevolmente. Tra gli accordi violati, c’è anche una parte che riguarda gli aiuti di Stato alle aziende britanniche.
In un mondo così, le istituzioni democratiche come l’Ue fanno fatica. Non a caso, intervenendo oggi in plenaria al Parlamento europeo, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell ha concluso: “L’Europa affronta una situazione in cui gli antichi imperi stanno tornando”. Il riferimento è alla Russia, la Cina, la Turchia. Già. L’Unione ne soffre, quasi inerme per scelta, calcolo o necessità.
(Huffpost)