Il padre di Hafsa: «Se è lei, troverò pace»
Il padre della 15enne scomparsa tre settimane fa: l’ho cercata anche con un drone.
Nella zona non ci sono denunce di scomparsa e il cadavere sarebbe di una ragazza giovane
La notte più lunga. Per Ahmed quelle appena trascorse sono state le ore più difficili. Quelle della speranza e dell’attesa di poter forse finalmente riabbracciare la sua bambina. Avrebbe voluto correre subito giù al fiume quando gli hanno detto che un corpo senza vita era riaffiorato dall’Adda, ma le condizioni del cadavere erano tali da non consentirne subito l’identificazione. La storia è quella di Hafsa, 15 anni, inghiottita dal fiume il primo settembre mentre faceva il bagno nel parco Bartesaghi, il polmone verde del capoluogo valtellinese. E del suo papà, Ahmed Ben Daoud, 37 anni, origini marocchine, da dieci anni in Italia, che da allora non hai smesso di cercarla tornando tutti i giorni nel punto dove l’Adda si è portato via la figlia, setacciando la riva, immergendosi, scandagliando il fondale.
Le ricerche
Ieri, dopo giorni di ricerche che hanno visto impegnati centinaia di volontari e soccorritori, la possibile svolta. Un poliziotto in pensione che conosce bene la zona, mentre stava andando a pescare ha visto un corpo galleggiare dove il fiume si placa, accanto alla boscaglia. Circa 500 metri dopo il ponte della località San Pietro, a Berbenno, dieci chilometri più a sud rispetto al luogo dove Hafsa è annegata. Ha subito allertato i vigili del fuoco e le forze dell’ordine. «Forse l’ho trovata», la telefonata concitata poco dopo mezzogiorno. Il cadavere è stato ricomposto presso la camera mortuaria dell’ospedale di Sondrio. Nella mattina di lunedì è previsto il riconoscimento. Non ci sono in Valtellina denunce di altre giovani scomparse. L’altezza sembrerebbe corrispondere a quella della quindicenne, il corpo rinvenuto però si trovava in acqua da diversi giorni tanto da rendere difficile l’identificazione. La questura che si occupa del caso si limita prudenzialmente a spiegare che sono in corso accertamenti specifici. Il giallo al momento rimane.
La scelta del padre
Intanto Ahmed continua a sperare: «Sono stati gentili con me, mi hanno mostrato delle fotografie, ma non sono riuscito a riconoscerla. Se avesse avuto al polso l’orologio che invece si è sfilata prima di entrare in acqua forse sarebbe stato più semplice» — racconta piegato dal dolore. Accanto, la moglie Amsa accarezza i figli più piccoli di 5 e 2 anni. Da quando è accaduta la tragedia si è chiusa nel silenzio. La zona dove è stato rinvenuto il cadavere era stata battuta più volte dai soccorritori che in tutti questi giorni, coordinati dal prefetto Salvatore Pasquariello, non hanno lasciato nulla di intentato. Ma quando Hafsa è stata inghiottita dal fiume, mentre cercava di raggiungere una spiaggetta insieme alla cugina, il livello dell’Adda era molto più alto. A fine agosto giorni incessanti di pioggia lo avevano ingrossato e reso tumultuoso, come mostrano le immagini filmate e postate su Facebook da un passante che hanno permesso di conoscere la storia di questo papà disperato: pochi secondi in cui si vede Ahmed nuotare controcorrente, scandagliare il fondo, smuovere le rocce alla ricerca della figlia. Ogni giorno, per settimane. «Poi mi hanno proibito di continuare a farlo perché troppo pericoloso — spiega —. E allora con i soldi della disoccupazione ho comprato un piccolo drone e sono tornato sulla riva per perlustrare l’Adda dall’alto. Ho sempre avuto fiducia nei soccorritori, però per me è impossibile stare a casa ad aspettare. Così non mi sono più immerso, come mi avevano chiesto, ma non ho mai smesso di cercarla». Forse adesso potrà farlo. Il fiume si è abbassato e ha restituito un corpo. «Vorrei tanto fosse lei, vorrei dirle addio, abbracciarla un’ultima volta e poi provare a ritornare a vivere sapendo di aver fatto fino in fondo il mio dovere di padre. Solo allora troverò pace»
(Corriere della Sera)