24 Novembre, 2024
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Coronavirus in Italia: contagi in calo (1766), ma con 20 mila tamponi in meno

Le vittime di oggi sono 17, ma ci sono anche 100 ricoveri in più (7 in terapia intensiva)

 

Scendono sia pure di poco i nuovi contagi oggi in Italia, 1766 contro i 1869 di ieri, ma più vistoso è il calo dei tamponi, che da 104mila passano a 87.700. Sono invece 17 le vittime odierne, esattamente come ieri. Riprendono invece a salire più decisamente i ricoveri: oggi più 100 rispetto a ieri quelli nei reparti di medicina ai quali ne vanno aggiunti 7 di terapia intensiva
Progressivamente continuano a calare i nuovi contagi nel Lazio e nella Capitale, dove in caso di risalita della curva epidemica il Governatore Zingaretti è pronto a firmare un’ordinanza che obbliga l’uso della mascherina anche all’aperto. Oggi si contano 181 casi contro 219 di ieri e i 230 di venerdì. Scendono i contagi anche a Roma, dove oggi se ne contano 79 contro i 113 di 24 ore fa. Scendono da 216 a 159 i nuovi casi di Coronavirus in Veneto, dove oggi si contano anche tre vittime.

Risalgono invece da 51 a 76 i casi in Puglia. Impennata di contagi in Abruzzo dove i nuovi positivi passano da 16 a 47 in un solo giorno. In risalita ripida da  25 a 47 i contagi anche in Basilicata, dove sul dato influiscono i 28 casi del cluster in una casa di riposo.

L’effetto scuola sull’epidemia

A misurare l’effetto scuola sull’epidemia sono i cugini d’Oltralpe. Un terzo dei cluster di Covid-19 in Francia riguarda la scuola e l’università, con 285 focolai, il 32% degli 899 registrati. Numeri spiegano l’impennata di casi e che devono far meditare anche da noi, dove per capire l’impatto del ritorno ai banchi bisognerà attendere ancora una o due settimane. Per ora da noi sono 528 gli istituti in cui si è verificato almeno un caso di positività al Covid: il dato è di oggi ed è tratto dalla piattaforma elaborata da due universitari, Lorenzo Ruffino e Vittorio Nicoletta che hanno messo a punto un database che aggiornano continuamente. Anche se, avvisa il Ministero dell’Istruzione, nella quasi totalità dei casi si tratta per ora di contagi avvenuti fuori degli Istituti.

Dalla loro analisi emerge che prima del 14 settembre, data di inizio delle lezioni in gran parte delle regioni italiane, le scuole con casi di Covid erano solo 18, dal 14 al 23 settembre sono diventate 365, dal 24 ce ne sono state altre 145. Nel 74,7% dei casi i positivi sono gli studenti, solo nel 12,5% i docenti. Nella gran parte dei casi non è stata chiusa la scuola. Le Regioni più colpite sono la Lombardia, il Lazio, il Veneto, la Toscana l’Emilia Romagna.

Partono i day hospital per i reduci del Covid

Intanto le Asl si attrezzano per prendersi cura dei sopravvissuti al Covid. «Quelli che avevano altre patologie prima di contagiarsi in alcuni casi hanno visto peggiorare la loro situazione», raccontano i medici internisti toscani. Altri «li vediamo arrivare da noi con una grande stanchezza, qualche difficoltà respiratoria e tanta paura che l’incubo ritorni. Soprattutto quando ad essere stati colpiti sono i più giovani. E l’altro comun denominatore è uno stato depressivo che sicuramente non aiuta a imboccare la strada di una completa guarigione. A tracciare il profilo dei «sopravvissuti al Covid» è la dottoressa Paola Gnerre, dirigente di primo livello alla medicina interna 2 dell’ospedale San Paolo di Savona dove, grazie anche all’apporto del direttore del dipartimento di medicina della asl 2 savonese, il dottor Rodolfo Tassara, è nato uno dei primi day hospital per ex pazienti Covid, totalmente gratuito. Un progetto elaborato da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che celebra in questi giorni a Roma il suo congresso in modalità mista, remoto/in presenza, all’interno del quale è stato presentato il modello di day hospital per i reduci del Covid già partito con delibere regionali in Liguria e Toscana e a macchia di leopardo in Lombardia, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Con le altre regioni pronte a seguire l’esempio. Il nuovo modello di presa in carico dei pazienti, che passata l’infezione rischiano di subire danni cronici non solo ai polmoni, ma anche a cuore, reni e cervello. Una formula che potrà essere utilizzata non solo per i «reduci del Covid, ma per aiutare a smaltire quegli 11 milioni di visite e accertamenti saltati durante il lockdown a discapito soprattutto dei malati cronici. L’idea è apparentemente semplice: istituire dei day hospital non solo terapeutici ma anche diagnostici, che grazie all’apporto multidisciplinare dei diversi specialisti medici consenta il follow up dei pazienti che sono passati per il Covid. Il tutto con esenzione dal ticket e seguendo la molto più snella lista di attesa intraospedaliera. Un modello non a caso messo a punto dai medici internisti della Fadoi, che lo hanno visto adottare per prima dalla asl 2 del savonese. Una indagine della stessa federazione mostra infatti come proprio la medicina interna sia stata in prima fila nella gestione dell’emergenza, con il 70% dei ricoveri Covid nei propri reparti. Ed è l’esperienza maturata sul campo, insieme agli studi internazionali ad aver mostrato come i pazienti sopravvissuti al coronavirus continuassero ad avere problemi polmonari che diventano cronici nel 30% dei casi e danni permanenti estesi ad altri organi. Da qui il sistema di controllo multidisciplinare messo a punto dagli internisti: in regime di day hospital ogni 3-6-12 e 24 mesi vengono rilevati i parametri vitali, come frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e livello di saturazione del sangue.

Con la stessa frequenza il paziente viene sottoposto ad ECG e prove respiratorie per controllare lo stato di cuore polmoni e ad analisi del sangue per verificare emocromo, funzionalità renale ed eventuali stati infiammatori con Pcr e Ves. I medesimi intervalli temporali intercorrono per verificare la massa grassa corporea, eseguire un «walking test» di 6 minuti per vedere come va il respiro con una camminata veloce e fare il punto sulla qualità della vita del paziente attraverso un questionario. «E attraverso questo, spiega la dottoressa Gnerre- abbiamo già individuato un 30% di pazienti che necessita di una ulteriore valutazione psicologica». A uno e due anni di distanza sono poi previsti ecocardiogramma, emogasanalisi del sangue arterioso e, a giudizio medico, Tac al torace o angio-Tac. «Uno schema – spiega sempre la Gnerre- che si richiama al progetto Ponte avviato nel 2012 a Savona per la presa in carco dei malati cronici con scompensi cardiaci, che soffrono anche di Bpco, diabete, cardiopatia ischemica e che richiedono un approccio multispecialistico come nel caso del Covid». I risultati in questo caso sono stati la riduzione del 15% dei ricoveri, associata a taglio dei tempi di attesa grazie anche alla maggiore appropriatezza degli accertamenti eseguiti. Per questo gli internisti vogliono ora esportare il modello su larga scala. «L’esperienza maturata in questi mesi di emergenza – spiega Dario Manfellotto, presidente Fadoi- ha rimesso in discussione la vecchia organizzazione ospedaliera basata sulla divisione in dipartimenti, favorendo l’approccio multispecialistico. Rivelatosi oggi efficace per una malattia sistemica come Covid-19 ma che può esserlo altrettanto per fronteggiare quell’emergenza permanente che è la gestione delle malattie croniche e complesse». I primi in Italia ad avviare la presa in carico degli ex-Covid sono stati però i medici internisti dell’ospedale di Magenta, nell’area metropolitana milanese. «Abbiamo iniziato a seguire gli ex ricoverati più gravi e ci siamo accorti che il 5% di loro riporta cicatrici polmonari, mentre chi ha avuto episodi trombotici guarisce senza particolari strascichi, che invece per tanti sono di natura psicologica, spiega Nicola Mumoli, primario di medicina interna dell’ospedale, dove gli ex positivi ricoverati in condizioni critiche vengono sottoposti a costante follow up pneumologico e vascolare. «Anche in Toscana -spiega Massimo Alessandri, presidente Fadoi della regione- abbiamo avviato dei percorsi differenziati per la presa in carico degli ex ricoverati Covid, con diversi protocolli per chi aveva altre patologie pregresse e chi no. Nel primo caso in alcuni pazienti abbiamo riscontrato un peggioramento della condizione legata alla patologia pregressa. Ma occorrerà un maggior periodo di osservazione prima di poter tirare delle conclusioni».

(La Stampa)

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