Il ministro della Salute illustra in Senato le direttrici sulle quali intende riformare il Ssn con i finanziamenti del Recovery fund.
«La spesa per il personale è ferma al 2004, ed è stato uno dei maggiori punti di debolezza del nostro sistema.
Le risorse umane sono la vera chiave del servizio»
Rete territoriale di prevenzione ed assistenza, innovazione digitale del Sistema sanitario nazionale anche per mettere in collegamento gli ospedali, focus sulla salute nelle scuole e nei luoghi di lavoro, tutela ambientale. Sono le direzioni lungo le quali il ministro della Salute Roberto Speranza intende muovere una (necessaria) riforma sanitaria utilizzando i finanziamenti del Recovery fund, ed evitare così che quei fondi straordinari a disposizione del Paese si disperdano inutilmente in mille rivoli. È quanto l’esponente di Leu ha spiegato ai componenti della Commissione Sanità del Senato durante l’audizione di ieri.
«VOGLIO COSTRUIRE un piano per la sanità del nostro Paese, da dovunque arrivano le risorse sono benvenute».
«Recovery fund, Mes o bilancio dello Stato», il ministro non entra nel merito della scelta: «Non voglio battaglie ideologiche – dice – il mio obiettivo è portare risorse al Ssn; lo strumento finanziario che si decide per me è secondario». I giorni più terribili dell’epidemia da Covid ce lo hanno insegnato: c’è bisogno di chiudere «la stagione dei tagli» alla sanità pubblica e ricominciare «ad investire». E ora «c’è una opportunità reale che il Paese può cogliere – aggiunge Speranza -. Visto che avevamo già bisogno di una riforma del Ssn, possiamo farla ora in modo espansivo.
Possiamo provare ad incidere davvero sulla realtà avendo l’ambizione di fare cose che sembravano inimmaginabili. Il Fondo sanitario nazionale arriva quest’anno a 120 miliardi, quando sono diventato ministro eravamo a 114. Se ci avessero detto a settembre 2019 “guardate che tra un anno sarete a 120 miliardi”, nessuno di noi ci avrebbe creduto». D’altronde tra le «mission» del Recovery fund, ricorda il ministro, c’è proprio la «Salute».
LA RIFORMA DISEGNATA da Speranza si snoda su cinque livelli:
«Tre assi verticali: territorio e sanità di prossimità, ospedale in rete, salute e ambiente. E tre assi trasversali: conoscenza della salute e innovazione digitale per il Ssn. L’Italia vuole superare le diseguaglianze che rendono il diritto alla cura, alla prevenzione e alla riabilitazione un diritto non uguale per tutte e per tutti». Il primo livello è la sanità territoriale, quella fatta dai medici di base, dagli infermieri a domicilio, dalle strutture di riabilitazione, i consultori, la rete psichiatria e le Rsa, tutti servizi che il ministro intende potenziare, puntando soprattutto sulla prevenzione e «riconoscendo un ruolo essenziale alle scuole»: «L’idea di fondo – spiega – è quella di una ricostruzione organica e permanente fra il sistema scolastico e il servizio sanitario».
E NON SI TRATTA TANTO di potenziare le strutture, quanto invece di investire sulle risorse umane,
«vera chiave del servizio», visto che «la spesa per il personale è ferma al 2004, ed è stato uno dei maggiori punti di debolezza del nostro sistema». Negli anni passati infatti «è stata ridotta di molto l’offerta ospedaliera ma senza rafforzare quella sul territorio». Ora, non occorre «un piano di emergenza, ma di rilancio». Secondo Speranza, la casa deve diventare il primo luogo di cura e dell’assistenza agli anziani. «Dobbiamo seguire questa idea di fondo: negli ospedali le situazioni gravi e la cura e l’assistenza domiciliare sul territorio, con una sanità circolare e con strutture ospedaliere che ruotano attorno al paziente».
UN PROGETTO AMBIZIOSO,
se si tiene in considerazione la crescita esponenziale e inarrestabile del numero di nuclei unipersonali e il tramonto della famiglia tradizionale italiana, sulla quale ha confidato finora il welfare statale e confidano tuttora le forze conservatrici del Paese affinché si possano investire altrove i capitali nazionali.
EPPURE È DA LÌ che bisogna ripartire.
Anche perché, come fa notare il ministro della Salute, non siamo ancora fuori dal tunnel del Covid-19. «Abbiamo molte più armi di quante ne avevamo a marzo e aprile, fra qualche mese ne avremo ancora di più», aggiunge riferendosi alle nuove terapie e ai test antigenici rapidi usati negli aeroporti e da estendere anche nelle scuole. Ma siamo in una «fase oggettiva di recrudescenza del virus», il Sars-Cov-2 sta «ricominciando a circolare in maniera significativa».
«C’è bisogno di mettere in campo tutti gli strumenti disponibili: quello principe è la capacità di connessione tra le misure delle istituzioni e i comportamenti delle persone». «Abbiamo una montagna di dati che debbono essere utilizzati anche per definire modelli predittivi, per capire l’evoluzione epidemiologica del Paese». Ma soprattutto, per non «sprecare il vantaggio accumulato rispetto ad altri Paesi», tutti devono attenersi alle regole (mascherina, distanziamento, igiene delle mani): «Un pilastro – conclude – che non deve essere messo in discussione».
(Il Manifesto)