Ripeteva a chi le chiedeva di rallentare per la malattia: «Ragazzi, facendo i dovuti scongiuri io sto bene, alla faccia delle malelingue»
ROMA. Jole Santelli è morta sul campo della politica e del suo recente impegno istituzionale alla presidenza della Calabria. Quando Silvio Berlusconi le chiese di candidarsi, conosceva i rischi che avrebbe corso ma allo stesso tempo che non avrebbe potuto dire di no al suo leader, al suo punto di riferimento esistenziale perché il Cavaliere per lei non era solo un capo politico. Berlusconiana dalla prima ora, iscritta al movimento nel 1994 quando era praticante presso lo studio Previti, senza mai la tentazione di lasciare Forza Italia. Così, di fronte a quella offerta di candidatura, si prese pochi minuti di tempo per consultare il suo oncologo, che le diede il via libera. Ma sapeva che avrebbe accettato comunque, risolvendo una grana a Berlusconi che non riusciva a imporre un suo uomo nel centrodestra. E vinse, riportando in alto il suo partito come non è stato fatto in nessun’altra Regione.
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Senza sosta
Ha continuato a curarsi e lavorare senza sosta. E quando venivano messe in circolazione indiscrezioni che la davano negli Usa a fare chemio o altrove si infuriava, diceva che erano «miserie umane, cattiverie» e che lei si curava al reparto oncologico di Paola, in Calabria, «piena di eccellenze in un mare di incompetenza, clientelismo, ignavia annegano come sassolini nello stagno». «Lo so, tante cose non vanno. E io proverò a cambiare». E ci ha provato con il suo approccio semplice e testardo, trascinandosi dietro la malattia, senza mai ammettere che l’impegno della politica e istituzionale a quei livelli non vanno sempre d’accordo. Ripeteva a chi le chiedeva di rallentare: «Ragazzi, facendo i dovuti scongiuri io sto bene, alla faccia delle malelingue».
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Stress moltiplicato dalla pandemia
La pandemia da Covid ha poi moltiplicato per mille lo stress, soprattutto quando ha visto partire da Milano migliaia di meridionali verso casa. Sapeva che le strutture sanitarie calabresi non avrebbero retto l’impatto dei ricoveri in terapia intensiva come al nord. E allora fu tra le prima ha stringere le maglie, ma anche la prima ad aprire bar e ristoranti, costretta a fare retromarcia dal governo. Ma la parte solare di Jole non le ha fatto mai perdere la capacità di sorridere e sdrammatizzare. Quando di fronte alle chiusure del suo collega sardo che in piena estate chiedeva i certificati medici per entrare nell’isola, lei rilasciò alla Stampaun’intervista, un inno alla vita e alla buona cucina, pieno di orgoglio calabrese. «Vengano in Calabria – disse – per scoprire il nostro mare, le nostre montagne, i nostri borghi, in totale sicurezza. Noi non chiediamo test sierologici. Siamo Covid-free. L’unico rischio che corrono i vacanzieri è di tornare a casa con qualche chilo di troppo».
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La malattia
Negli ultimi giorni sembra che le sue condizioni si fossero aggravate ma si è recata comunque in Regione per lavorare. Ieri aveva avuto incontri politici a Cosenza e aveva rilasciato un’intervista a un importante rivista internazionale. Generosa con il partito, in privato Jole lo era altrettanto. L’ultima volta che l’ho sentita per una vicenda interna al centrodestra mi disse che nessuno in politica si aspetta generosità e riconoscenza. «Ma quelli meno riconoscenti sono i veri nani della politica, per questo io, che non sono certo la Thatcher, ma so stare al mio posto e nella mia trincea calabrese, non tradirò mai il mio popolo e il presidente». La malattia e la trincea se la sono portata via a 51 anni. Ripeteva spesso che la malattia dà tanti dolori ma ti fa conoscere la libertà, ti aiuta a non avere paura di niente, a non rispettare più le convenienze.
(La Stampa)