Senza un’intesa nelle prossime 2-3 settimane, dal 1° gennaio si materializzerà uno scenario che rischia di avere un impatto economico violentissimo
Nel pieno della seconda ondata del coronavirus, con lo stallo nei negoziati sul bilancio pluriennale che minaccia la partenza del Recovery Fund, l’Unione europea ha un altro enorme problema da risolvere: la Brexit. Le trattative con il Regno Unito per gestire le relazioni future sono a un punto morto e le tensioni con Londra alle stelle. Senza un’intesa nelle prossime 2-3 settimane, dal 1° gennaio si materializzerà l’incubo della “Hard Brexit”, uno scenario che rischia di avere un impatto economico violentissimo.
Il Consiglio europeo ha ribadito la propria disponibilità a continuare i negoziati e ha confermato la missione di Michel Barnier a Londra, fissata per la prossima settimana. Ma ha chiesto ai britannici di rivedere le proprie richieste. Il problema è che Boris Johnson non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro, tanto che è subito intervenuto per dire che il suo governo ormai si sta preparando allo scenario del “no-deal”, con dazi e mini-accordi settoriali. Non c’è più niente da negoziare, ha detto, a meno che non sia Bruxelles a cambiare posizione “radicalmente”.
Nessuno vuole cedere sui tre principali punti della discordia: le regole sugli aiuti di Stato, la gestione della pesca nella Manica e il sistema per risolvere le controversie future. La situazione è paralizzata e il tempo stringe: il summit di Bruxelles avrebbe dovuto battezzare l’intesa e invece l’accordo ancora non c’è. Per trovarlo bisogna fare in fretta: “Tre-quattro settimane al massimo” prevedono fonti Ue, dato che l’intesa deve poi essere ratificata dai due parlamenti e il processo richiederà almeno un mese. Il fronte europeo è compatto: “Vogliamo un accordo, ma non ad ogni costo”. Per questo i governi hanno incaricato la Commissione di preparare i piani di contingenza.
L’uscita dei britannici dall’Ue si è materializzata il 31 gennaio del 2020, ma fino al 31 dicembre è in vigore il periodo transitorio che di fatto mantiene la situazione simile a quando Londra era a tutti gli effetti un membro del club (con la sola differenza che il governo Uk non partecipa al processo decisionale di Bruxelles). La scadenza è improrogabile, visto che Londra ha rinunciato a chiedere un’estensione. In questi mesi sono andati in scena i negoziati per gestire le relazioni future, che però si sono incagliati principalmente su tre scogli.
L’Ue vuole che il Regno Unito si allinei alla normativa europea sugli aiuti di Stato, in modo da scongiurare una concorrenza sleale. Non c’è intesa nemmeno sul meccanismo per regolare eventuali controverse. E infine c’è la questione della pesca: finora i pescatori europei hanno avuto libero accesso alle acque della Manica, ma adesso Londra vuole imporre le quote. Si tratta di un tema estremamente sensibile da un punto di vista politico: per i pescatori britannici, ma soprattutto per quelli francesi. Per questo motivo Emmanuel Macron, che teme una nuova rivolta sulla scia di quella dei “gilet gialli”, continua a mostrarsi intransigente.
(La Stampa)