18 Luglio, 2024
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La ‘terza via’ della Svezia potrebbe essere un fallimento.

Arriva la paura della seconda ondata

Secondo le autorità sanitarie, anche nel Paese che aveva rifiutato la logica del lockdown le infezioni da Covid stanno salendo in modo costante: lo scorso 15 ottobre si è toccato un picco di quasi mille contagi in 24 ore 

L’inverno corre veloce in Svezia: e così, con l’aumento dei nuovi contagi, nel Paese della “terza via” della lotta al coronavirus, l’ottimismo che ancora a inizio settembre era predominante sta per essere sostituito con prepotenza dalla preoccupazione. Stando ai dati delle autorità sanitarie, anche nel Paese che aveva rifiutato la logica del lockdown le infezioni stanno salendo in modo costante: mentre per alcune settimane si sono registrati circa tremila casi settimanali che sono arrivati ad essere oltre 4.500 la settimana scorsa, lo scorso 15 ottobre si è toccato un picco di quasi mille contagi nelle 24 ore. Per avere un confronto, il record assoluto è quello di fine settembre, quando è stata superata la soglia dei 1600 casi.

Sul fronte dei decessi, se la Svezia vanta il numero più basso (insieme alla Germania) nel confronto con gli altri Paesi europei – ossia poco più di 5.900 morti su 103 mila infezioni totali – poichè gli abitanti sono solo 10 milioni, le vittime in proporzione sono 12 volte più che in Norvegia, 7 volte più della Finlandia e 6 volte più della Danimarca. Peraltro, la stragrande maggioranza dei morti erano ultrasettantenni: sono dati che pesano, anche perché hanno messo in luce la situazione talvolta tragica delle case di riposo e dei lavoratori precari, che non potendo rinunciare al lavoro hanno diffuso il virus.

Ma allora, funziona o non funziona la “terza via” svedese?

Dal punto di vista delle misure, in autunno ormai avanzato poco è cambiato dall’inizio della pandemia, quel che valeva in marzo e aprile ad oggi vale ancora: il governo di centrosinistra guidato da Stefan Loefven “chiede” ai suoi cittadini di mantenere le distanze minime, di lavarsi con regolarità le mani, di rinunciare ai viaggi “non necessari” e di lavorare, se possibile, a casa; rimangono vietati gli assembramenti con oltre 50 persone, non esiste l’obbligo della mascherina, i negozi sono sempre rimasti aperti, nei ristoranti basta rispettare distanze e regole igieniche. Agli ultrasettantenni è però chiesto di rimanere a casa.

Quanto alle scuole, chiusure ci sono state solo per studenti dai 16 anni in su. Il fatto è che in Svezia si ritiene che i danni all’istruzione sarebbero superiori ai benefici di un lockdown. E così ai bambini si sono applicate regole di quarantena peculiari: se una persona risulta positiva al coronavirus, gli adulti della famiglia si devono sottoporre all’isolamento, ma non i ragazzi che vanno a scuola. Inoltre, devono stare a casa al massimo sette giorni, contro i classici 14 giorni dello standard internazionale, dato che a detta dei medici svedesi il rischio di diffondere il virus a partire dalla seconda settimana è molto più basso.

L’idea-base della strategia svedese è, a suo modo, semplice: mettere in campo misure che si possano sostenere a lungo.

E’ la strategia della “maratona”: proteggere i gruppi a rischio, non creare strettoie nelle forniture mediche in modo da lasciare libero il più alto numero possibile di posti in terapia intensiva, non sconvolgere il modo di vivere del Paese. E tenere conto di altri fattori: in caso di lockdown “duro”, per esempio, si teme che aumenterebbero esponenzialmente i morti per alcolismo e le conseguenze di natura psichica sui soggetti più fragili.

Il messaggio che si legge sugli schermi degli autobus pubblici è chiaro: “Lavora a casa, se puoi. Non utilizzare mezzi di trasporto pubblico, se non devi. Vai al lavoro in bicicletta! Fallo per tua nonna!”. Insomma, il governo svedese si è affidato soprattutto agli appelli ai cittadini e finora si è cercato di evitare di ricorrere ai divieti. In generale, gli svedesi si sono mostrati disciplinati e si sono attenuti alle indicazioni dello Stato. Ed, in effetti, rispetto alla primavera e all’inizio dell’estate le infezioni sono calate sensibilmente. Finora. Sì, perché stando alle stime l’aumento dei contagi delle ultime settimane è legato soprattutto ai contatti nell’ambito familiare, nelle associazioni sportive di base, ai ritrovi giovanili e studenteschi e al rientro delle persone nei loro uffici dopo lunghi periodi di smart working. E così si arriva rapidamente ai 4500 nuovi casi e ai 16 decessi registrati la settimana scorsa.

Una situazione che, a detta dell’epidemiologo Anders Tegnell, potrebbe finalmente indurre anche la Svezia a introdurre l’obbligo della mascherina

(finora una sorta di tabù), a ipotizzare la chiusura delle scuole, anche se solo a livello locale e per una durata che non superi le due o tre settimane. Sono allo studio anche altre misure, ma avrebbero – se messe in atto – carattere prevalentemente regionale con precisi limiti temporali.

Le autorità sanitarie si sono limitate a pregare i cittadini di non organizzare o non partecipare a grandi eventi, feste, matrimoni, funerali, mentre in bar e ristoranti si punta semplicemente al distanziamento. Ma ora il premier Loefven e il principe dei virologi svedesi tornano a rafforzare i loro appelli: “Non abbracciatevi, restate a casa”, ha scandito il capo del governo. L’epidemiologo Tegnell ha avvertito: “Ora come ora si sta andando lentamente, ma sicuramente, nella direzione sbagliata”. Se anche la “terza via” svedese dovrà conoscere una stretta lo si vedrà nelle prossime settimane, grafici dei contagi alla mano.

(Agi)

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