24 Novembre, 2024
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Relazione del Mef. Le donne ancora ostaggio del gender gap

Retribuzioni più basse del 40%, part-time involontario e tanta disoccupazione: l’Italia resta fanalino di coda in Europa

Le donne guadagnano in media il 60% dei colleghi, spesso perché accettano retribuzioni più basse a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari.

Una su quattro è sovra-istruita rispetto alla posizione che occupa, una su tre deve accontentarsi di un part-time, quasi sempre “involontario”. Ma soprattutto – ed è il punto di partenza della discriminazione – solo una su due un lavoro ce l’ha. L’altra metà si trova in un limbo tra la disoccupazione e l’inattività. La relazione sul Bilancio di genere del ministero dell’Economia presentato ieri in audizione alle commissioni congiunte di Camera e Senato fotografa una situazione impietosa: il gender gap non fa passi indietro. Anzi rischia di ampliarsi per via della crisi economica e occupazionale che l’Italia sta affrontando. Una stampella potrebbe arrivare dal Recovery fund – in questi mesi considerato la panacea di tutti i mali – che potrebbe portare ad un aumento dei servizi per l’infanzia a partire dagli asili nido. «Si tratta di un’occasione irripetibile per ridurre le profonde diseguaglianze di genere a partire da quelle del mercato del lavoro – ha detto la sottosegretaria all’Economia Cecilia Guerra presentando il rapporto – L’Italia è il Paese che ha registrato complessivamente i maggiori progressi nel periodo 2005-2017 per contrastare il gender gap ma sulla base dell’Eu Gender Equality Index resta ancora fanalino di coda. Secondo i dati raccolti nella Relazione, che utilizza 128 diversi indicatori dei divari di genere nell’economia e nella società, elaborati da istituzioni Italiane (Istat ed Inps, in primo luogo) ed europee, il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2019 è ancora molto basso (50,1%) e registra una distanza di 17, 9 punti percentuali da quello maschile, con divari territoriali molto ampi, con un tasso di occupazione delle donne pari al 60,4% al Nord e al 33,2% nel Mezzogiorno.

Il tasso di disoccupazione raggiunge livelli più elevati (33%) per le donne più giovani e livelli più bassi per la classe di età 45-54 anni (19,2%), con notevoli divari territoriali e di genere:

dal 41,5% per le donne nel Mezzogiorno (contro 28,8% per gli uomini), si passa al 17,6% per le donne al Centro (contro 12,3% per gli uomini) e al 12,7% per le donne al Nord (contro 7,9% per gli uomini). Sul fronte della qualità del lavoro, inoltre, appare in crescita la percentuale di donne che lavorano in part-time (32,9% nel 2019), involontario nel 60,8% dei casi. Al contempo, sebbene le donne si laureino in percentuale decisamente superiore rispetto agli uomini (con un divario a loro favore di 12,2 punti percentuali) più di una donna su quattro (26,5%) è sovraistruita rispetto al proprio impiego e, tra le donne, è particolarmente alta l’incidenza di lavori dipendenti con bassa paga (11,5%, contro 7,9% per gli uomini).Analizzando poi nello specifico la partecipazione al mercato del lavoro delle donne nella fascia di età 25-49 anni si rileva un forte gap occupazionale (74,3%) tra le donne con figli in età prescolare e le donne senza figli, uno dei sintomi più evidenti delle difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita professionale per le donne. «Molto allarmanti, in questo senso, sono anche i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sulle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri che, oltre ad un continuo aumento dal 2011, ci segnalano, anche per il 2019, un fortissimo divario di genere: le dimissioni volontarie coinvolgono le madri nel 73% dei casi – ha spiegato Guerra –. Si tratta per lo più di donne giovani, con poca anzianità di lavoro, occupate prevalentemente nel terziario, con qualifiche basse. La motivazione più ricorrente (almeno un terzo dei casi) è l’impossibilità di conciliare l’occupazione con il lavoro di cura, soprattutto in assenza di reti familiari di supporto».

La percentuale di bambini con meno di tre anni presi in carico da parte di asili nido pubblici raggiunge il 12,5 % nel 2017 e ancora più bassa è quella relativa ai servizi integrativi per la prima infanzia (1%).Conciliare lavoro e vita familiare sembra un’impresa. Per la segretaria confederale della Cisl, Daniela Fumarola «occorre promuovere una maggiore occupazione femminile, ma è necessario garantire anche la permanenza e competizione alla pari delle donne nel mondo del lavoro. Sono loro a pagare il prezzo più alto della precarietà, del lavoro nero, dello sfruttamento, con conseguenze pesanti per tutta la collettività, anche in termini di natalità»

(Avvenire)

 

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