«Mi ha detto: “È la mazzata finale”»
La donna gestisce insieme al padre un ristorante del Trevigiano.
E al Corriere si chiede: «Il lavoro ci dà dignità, ma se ci viene tolto come facciamo a vivere dignitosamente?»
«Questo è mio papà. Un uomo che si è fatto dal niente, dalla povertà di una famiglia di mezzadri veneti. Una famiglia numerosa dove le donne dicevano che non avevano fame pur di lasciare il cibo ai figli. Gente umile, senza tanti fronzoli per la testa». Inizia così il post pubblicato sabato pomeriggio su Facebook da Elena Tonon, titolare, insieme al padre Giuseppe, del ristorante-gelateria Ca’ Lozzio di Oderzo (provincia di Treviso). A corredo, una fotografia che in realtà parla da sola: c’è proprio lui, «Beppo»– questo il suo storico soprannome –, seduto all’ingresso della struttura nella sua elegante divisa blu. La mascherina che pende da un orecchio, lo sguardo fisso in cerca di risposte. «È lì immobile il Beppo, pensieroso dopo aver scoperto che forse dobbiamo chiudere la nostra attività alle ore 18 e non dobbiamo neanche aprire alla domenica, giorno d’incasso assicurato per una attività come la nostra – prosegue il post della figlia –. “Questa è la mazzata finale” mi ha detto».
Di lì a poche ore, il premier Giuseppe Conte avrebbe firmato il nuovo Dpcm, che resterà in vigore (almeno) fino al 24 novembre. Confermata la chiusura dei locali alle 18. Salva in extremis, invece, l’apertura domenicale. Una magra consolazione. I timori di Beppo, infatti, restano quelli di un’intera categoria, già ampiamente provata dal lockdown primaverile. «A me dispiace, ma io non ci sto – ha scritto ancora Tonon –. Alla gente come me, quella con un po’ di sensibilità, gli si spezza il cuore. Non siamo gente che va a dire in giro che il Covid non esiste, siamo gente che ha sempre avuto una dignità. E la rivogliamo».
Diventato immediatamente virale, il post ha raccolto quasi 20 mila reazioni e oltre 6 mila condivisioni in meno di 24 ore. Numerosissimi anche i commenti, tutti di grande supporto in questo momento difficile. «Non ce lo aspettavamo minimamente, né io né papà – ammette Elena al Corriere –. È un qualcosa che ci ha riempito il cuore. Siamo stati contattati perfino dal presidente regionale Luca Zaia, quindi abbiamo davvero sentito il sostegno di tutti». Ma i problemi, purtroppo, rimangono: «L’apertura domenicale salva solo una piccola parte dei nostri bilanci – continua –. Qui non siamo a Roma o a Milano: non ci sono turisti che consentano di avere incassi anche a pranzo. Perciò, se proprio dobbiamo chiudere alle 18, tanto vale tenere direttamente chiuso. Purtroppo ci sentiamo rappresentati da persone che non conoscono il nostro settore». Nelle parole della ristoratrice, la sensazione di essere rimasta vittima di un’ingiustizia è palese: «Lo ripeto, siamo gente umile. Il lavoro ci dà dignità. Se però questo stesso lavoro ci viene tolto, come possiamo continuare a vivere degnamente? E nella nostra situazione si trovano ora moltissime altre famiglie, che come noi ce la mettono tutta per portare il pane a casa a fine mese. Ma in questo senso cerco di pensare positivo: se l’affetto che abbiamo ricevuto non porta il pane a casa, di certo ci fa dormire meglio. Siamo ancora sbalorditi e commossi».
(Corriere della Sera)