27 Dicembre, 2024
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Il plebiscito in Cile tra festeggiamenti popolari e incertezze future

Il trionfo di domenica scorsa preannuncia un nuovo scenario politico per il Cile: nelle strade e nelle urne si è schiuso lo spazio per la trasformazione politica, mentre si apre la contesa delle elezioni per la Costituente, la prima con parità di genere

La potenza del voto popolare per cambiare la Costituzione di Pinochet ha segnato il risultato del referendum di domenica 25 ottobre. I quesiti referendari erano due ed in entrambi i casi è stata una vittoria popolare: nel primo caso l’Apruebo ha vinto con il 78,2 % dei voti, nel secondo, relativo alla scrittura della magna carta,  la proposta della Convenzione Costituzionale ha vinto con un 78,99%, una proposta che prevede un’assemblea costituente composta totalmente da cittadini che non ricoprono incarichi politici, per metà donne e per metà uomini. A livello mondiale, sarà la prima Costituzione a essere scritta da un’assemblea con parità di genere.

Mai, nella storia del paese dopo il ritorno alla democrazia, si era visto un livello di partecipazione così alto come quello di domenica scorsa, con una affluenza al voto del 51% dei cittadini aventi diritto. Una delle principali differenze con il passato è però anche lo scenario in cui è svolto il referendum, che non aveva precedenti: l’ampiezza delle proteste sociali che si sono manifestate in Cile da più di un anno sta scuotendo ogni certezza rispetto al modo di fare politica. Non solo perché scrivere una nuova Costituzione è di per sé un evento storico, ma anche per le forme in cui questo avverrà. Il plebiscito è vincolante e i cittadini possono esercitare forme di decisione diretta, senza intermediari, senza la casta politica in mezzo.

Il governo, la destra e l’opposizione non si aspettavano questi livelli di partecipazione. Erano sicuri che l’astensione, che ha sempre caratterizzato la gioventù cilena, sarebbe stata molto alta anche questa volta. Ma si sono sbagliati di grosso, perché i giovani hanno capito che anche votare serve a qualcosa. Anzi, per essere più precisi, che la democrazia è così fragile da dipendere anche da un semplice voto.

 

“Cancellare la tua eredità sarà la nostra eredità”, dice uno dei numerosissimi manifesti che ricoprono le pareti di tutto il paese, facendo riferimento a Pinochet. Si è iniziato a costruire un nuovo Cile, la Costituzione della dittatura ha i giorni contati.

 

Foto di Pedro Aceituno

 

Per questo migliaia di persone sono uscite a festeggiare, una profonda allegria ha sommerso le strade durante la notte di domenica.

Le stesse persone che un anno fa si erano riversate per le strade con rabbia, esigendo dignità. Il 25 ottobre di quest’anno è stato il riflesso di una lotta che in questo paese dura da anni, in cui si sta costruendo un nuovo modo di fare politica, dove le gerarchie di partito contano ben poco, dove tutti imparano da tutti e tutti insieme costruiscono la storia dal basso, dalle zone centrali e dalle periferie, dai territori saccheggiati dalle multinazionali, spesso anche europee.

Domenica scorsa gli anziani che portano sul proprio corpo i segni della dittatura, marciavano e si abbracciavano con i giovani della Primera Linea che in tutto questo tempo hanno lottato per permettere a tutti di manifestare, proteggendo le mobilitazioni dalla continua repressione delle forze statali. Numerosi i cartelli in cui si poteva leggere “Gracias valiente juventud”, “Grazie coraggiosa gioventù”,  perché è soprattutto grazie ai giovani che il Cile  si è svegliato e non tornerà a dormire, milioni di persone grazie al coraggio di questi giovani si sono lasciate alle spalle la paura di 17 anni di dittatura.

Solamente una settimana fa, lo scorso 18 ottobre, si è celebrato l’anniversario dell’inizio delle proteste sociali. Con un contesto di fondo segnato dalla pandemia, dalla quarantena e dai militari in strada, diverse città del Cile sono tornate ad essere il centro di mobilitazioni di massa e di proteste. La paura permanente del contagio non è stato però un impedimento capace di frenare migliaia di cilene e cileni rispetto all’urgenza di manifestare e scendere in piazza a protestare in molte città e nella Plaza de la Dignidad.

Non si è trattato solo di commemorare l’inizio di uno dei fenomeni più importanti della storia cilena, ma è stato soprattutto la celebrazione del fatto che il popolo ha capito che gli spazi pubblici, le piazze e le strade in generale sono il luogo in cui il loro potere si materializza. La dimensione di massa delle proteste è quel che irrita principalmente l’élite di questo paese, solo che adesso il popolo lo sa bene e lo ha dimostrato anche attraverso una vittoria schiacciante nelle urne.

 

Lontano dall’essere controproducente, il plebiscito e la protesta sociale sono state due istanze dello stesso fenomeno. È dalla fine della dittatura che non si vedeva questa combinazione politica.

 

Foto di Pedro Aceituno

 

Così lo ha manifestato la gente che ha deciso di non autoescludersi dal processo e ha capito la necessità  di riflettere nelle urne il desiderio di cambiare questo paese, celebrando e occupando gli spazi pubblici e mantenendo comunque la protesta in strada.

Perché, nonostante tutto, nessuna delle persone nelle piazze e agli angoli delle strade tanto il 18 di questo mese come il 25, dimentica le 44 vittime uccise dallo stato durante quest’anno, i più di 400 che hanno perso la vista (totalmente o parzialmente) durante le manifestazioni, le oltre 3000 persone private di libertà senza nemmeno aver avuto un processo, le violenze sessuali dentro le caserme, i Mapuche che continuano a essere considerati terroristi solo perché manifestano per il diritto alla terra, i bambini del Sename e soprattutto il fatto che nessuno abbia pagato per tutto questo. Ci sono ancora madri che piangono perché i loro figli sono stati assassinati. Sebbene il 18 e il 25 di questo mese siano stati dei momenti di celebrazione, mancavano ancora molte, troppe persone.

Quando gli studenti hanno saltato i tornelli a ottobre dell’anno scorso, l’hanno fatto denunciando l’agonia di un modello che era diventato insopportabile. Le ingiustizie sociali che vivono giornalmente milioni di cilene e cileni non possono continuare ad accumularsi, le disuguaglianze, tra le più alte della regione, devono essere modificate radicalmente. Non si può più fare marcia indietro.

Il trionfo di domenica preannuncia un nuovo scenario politico per il Cile. Mentre gli stessi che un anno fa avevano dichiarato guerra al popolo cileno adesso si rendono ridicoli volendosi appropriare del trionfo, le organizzazioni sociali si stanno già chiedendo in che modo poter proporre i prossimi costituenti. La battaglia è aperta e l’unica cosa certa è che il popolo cileno non sopporterà più nessun tipo di tradimento da parte dei politici di sempre e continuerà a lottare con tutti i mezzi possibili tanto nelle urne quanto e soprattutto nelle piazze.

(Dinamopress)

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