19 Luglio, 2024
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Cappato, perché i dati del Governo non servono a combattere il virus

Marco Cappato spiega all’AGI l'”errore del Governo di mettere tutti i dati del contagio in un calderone” 

Per capire gli effetti dei provvedimenti restrittivi, c’è una cosa che, spiega Marco Cappato all’AGI, il Governo dovrebbe fare e non fa, nonostante le sollecitazioni provenienti da mesi della comunità scientifica.

“Mettere a disposizione degli studiosi i cosiddetti dati disaggregati,

quelli cioè relativi per esempio alla professione, all’età, alle comorbilità, alla provincia di residenza. Nelle scuole, per capirci, non sappiamo come vanno i tamponi su insegnanti, alunni, familiari degli alunni, presi come categorie singole. Invece sarebbe cruciale conoscerli per capire se funzionano le restrizioni ai vari tipi di attività, alle palestre, ai cinema e ai teatri. Solo coi dati individuali possiamo capire l’evoluzione della pandemia e se gli strumenti che adottiamo per contenerla sono efficaci”.

La necessità di una grande banca dati

“I dati  che ci sono per ogni singolo malato si perdono per strada – considera Cappato -. Il Governo li mette poi in un calderone e decide di dare solo quelli che ritiene”. Per avere un quadro complessivo della pandemia e controllarla meglio, il segretario dell’associazione ‘Luca Coscioni’ propone “la creazione di una grande banca dati. Oggi conosciamo solo i dati aggregati a livello nazionale, sappiamo quanti sono i nuovi contagiati ogni giorno e la distribuzione a livello provinciale e regionale, quante sono le terapie intensive. Ma non conosciamo  i microdati di ogni persona che fa il tampone in quella struttura, città e regione”.

Chi entra ed esce dalle terapie intensive?

“Tutte informazioni che non vengono messe a disposizione della comunità scientifica, a cui  viene fornito solo un dato complessivo o quello che le Regioni diffondono a discrezione. Ad esempio, sarebbe importante sapere non solo quante persone ci sono quel giorno in terapia intensiva, ma anche i flussi delle terapie intensive, quanta gente entra ed esce in una certa città, chi esce perché muore o perché sta meglio. Uno studioso potrebbe fare calcoli, aggregazioni, incroci infiniti. Invece gli scienziati hanno solo le somme complessive che ha il Governo e non anche le disaggregazioni. Ogni Regione va poi per conto proprio nel dare alcuni dati, invece andrebbe imposta una metodologia. La prima richiesta di fornire dati disaggregati è di marzo da parte di Monica Pratesi, presidente della società di statistica, a questo punto, passati tanti mesi, devo pensare che quella di non farlo è una decisione del Governo”.

Non sappiamo davvero quanti sono i contagiati

C’è poi un altro tema che sta a cuore a Cappato: “Come spiegano gli statistici Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, basterebbero poche migliaia di tamponi degli ormai 250mila che si fanno al giorno rappresentativi della popolazione in base a età e altri criteri. Come si fa nei sondaggi elettorali, avremmo regolarmente una stima di quanta parte della popolazione è davvero contagiata. Oggi si fanno tamponi o a chi ha sintomi o a chi ha avuto dei contatti con positivi. Quando si dice che i tamponi sono positivi al 15 per cento non vuol dire che il 15 per cento della popolazione è contagiata. Sarebbe un passaggio fondamentale per avere la dinamica del contagio sott’occhio perché oggi nessuno oggi sa rispondere alla domanda su quanti siano i contagiati in italia”.

(Agi)

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