18 Novembre, 2024
spot_imgspot_img

Caro Toti, ti racconto la mia vita da “non indispensabile”

Chi firma questo articolo è da tre giorni «non indispensabile allo sforzo produttivo nazionale».

Fate però sapere di tale mia nuova condizione, mi raccomando, al responsabile delle pagine napoletane di questo giornale, con il quale concordo i miei pezzi, ai dottorandi che devono discutere la loro tesi, ai colleghi che mi pregano di dare un’occhiata amichevole ai loro dattiloscritti oppure, quando siano diventati libri, implorano una recensione, e a chi è sotto concorso e ti chiede di aiutarlo a irrobustire con qualche ulteriore idea un saggio o una monografia.

Fatelo sapere anche – ed è esperienza di questi giorni – a chi ti chiama a comporre il comitato scientifico di una rivista che si pensa di varare. Per il momento, della mia condizione di pensionato ho scoperto i lati gradevoli, per esempio la soddisfazione di sapere che di una certa circolare ministeriale che aggrava da ora in poi i compiti burocratici dei docenti posso filosoficamente impiparmene, e ho minimizzato quelli sgradevoli: mi manca il contatto con gli studenti, ma in tempi di università a distanza questo è mal comune, quindi mezzo gaudio.

Sicuro che noi non timbriamo più cartellini, se lo facevamo prima o non ci presentiamo ogni santo giorno che viene in terra al posto di lavoro, nemmeno se “agile”, ma abbiamo da fare egualmente: per esempio, mantenere con la nostra sicura entrata mensile famiglie di figli e nipoti che la pandemia ha messo in difficoltà economica. Vero: chi li ha non vede più tanto i nipotini, se già non convivano con lui, ma in compenso contribuisce a pagare le bollette e a fare la spesa. Inoltre i nonni abili in cucina e senza distinzione di sesso hanno perfino riscoperto il piacere di mettere in tavola il pane fatto in casa. Soprattutto, però, la pandemia dovrà pure finire e allora si scoprirà che gli anziani restano una riserva di esperienza e la memoria che essi trasmettono un salvadanaio di “senso dell’orientamento sociale”.

Mi sono chiesto perché ci siamo tanto rattristati per la scomparsa di Gigi Proietti e mi sono detto che era anziano e malconcio, ma spandeva un ottimismo e mostrava una bravura che oggi non troviamo, in tempi molto ansiogeni, in politici che sembrano procedere lungo la loro e nostra strada per tentativi, senza bussola.

Altro che sforzo produttivo nazionale, indispensabile a superare la crisi, ma da solo cieco: smantellare una fabbrica di eccellenza e che aveva mercato come la Whirlpool e mortificare le professionalità in essa presenti per risparmiare sul costo del lavoro, addestrando maestranze altrove e dovendoci dunque perdere tempo e denaro, è una dimostrazione di enorme miopia. Teniamoceli dunque cari, i vecchietti (lo so bene che scrivo in conflitto d’interesse).

Non facciamo come quella associazione di anestesisti e rianimatori italiani o come i loro omologhi svizzeri che, in momenti di risorse sanitarie ridotte, teorizzano brutalmente che, per decidere se distribuire o no maschere d’ossigeno, è determinante “la speranza di vita” dell’ammalato che viene ricoverato in ospedale. Deve essere per tutte queste considerazioni, o per altre simili che si potrebbero formulare, che da almeno due dei tre giorni della mia nuova vita di pensionato fresco, avendo letto la sua dichiarazione riportata all’inizio, mi chiedo se indispensabile a quello sforzo che egli ricordava sia poi il presidente della Liguria Giovanni Toti. E non riesco a trovare risposta al dubbio.

(Il Riformista)

 

Ultimi articoli