Per tutta la giornata di ieri la Campania è rimasta col fiato sospeso. Mentre molti organi di informazione annunciavano il passaggio della regione dalla zona gialla, cioè quella a rischio di contagio moderato e quindi soggetta a misure anti-Covid meno restrittive, a quella arancione o addirittura rossa, cioè quelle in cui scatta il lockdown totale, è stato il governatore Vincenzo De Luca a fare chiarezza: «Non c’è nulla da decidere o da attendere, restiamo in fascia gialla». Al netto del continuo rincorrersi di ipotesi, indiscrezioni e smentite, lascia perplessi il metodo in base al quale il governo Conte individua i territori a rischio moderato, intermedio o elevato.
Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Basilicata sono ufficialmente passate dalla zona gialla a quella arancione in una sola settimana. Qualcuno dirà: certo, il virus dilaga rapidamente. Tutto vero, ma è altrettanto evidente come il meccanismo di valutazione dei dati sanitari adottato dal governo Conte non riesca a seguire la progressione della pandemia. In altre parole, l’algoritmo che il premier ha voluto per legittimare l’adozione di misure restrittive diverse da territorio a territorio ed evitare un lockdown generalizzato è lento. Troppo complessa l’analisi dei 21 indicatori sulla base dei quali una località viene inserita in area gialla, arancione o rossa. Questa lentezza porta con sé un ulteriore problema, cioè quello dell’incertezza: è umanamente inaccettabile, oltre che deleterio sul piano economico, che le forze produttive di questa o quella regione debbano rimanere col fiato sospeso fino a quando, dopo giorni di indiscrezioni e di smentite, il Governo non illustra la composizione delle nuove zone gialle, arancioni o rosse.
Il vero problema, però, è che il meccanismo dell’algoritmo funge da “paravento” per la classe politica. Le decisioni su eventuali lockdown o misure restrittive di diverso segno, infatti, sono presentate come conseguenza inevitabile dell’analisi dei dati sul numero di nuovi positivi al Covid, sull’occupazione dei posti letto in terapia intensiva e così via. In altre parole, l’algoritmo non fa altro che aiutare i pubblici amministratori a nascondersi dietro le statistiche e, dunque, a deresponsabilizzarsi. E, in una fase delicata come quella che sta attraversando, l’Italia non può certo permettersi il lusso di una classe dirigente pronta a utilizzare l’alibi dei numeri quando è chiamata ad assumere decisioni tanto cruciali quanto impopolari. Come se non bastasse, il meccanismo dell’algoritmo non è riuscito a prevenire uno dei grandi mali di questo Paese: le polemiche sterili.
Nemmeno davanti all’evidenza dei numeri, infatti, i pubblici amministratori – basti pensare al sindaco napoletano Luigi de Magistris e al governatore De Luca – sono riusciti a mettere da parte contrapposizioni ideologiche e antipatie personali per poi rimboccarsi le maniche e lavorare fianco a fianco contro il virus cinese. Tutto questo dimostra come il meccanismo dell’algoritmo debba essere al più presto abbandonato e quanto sia indispensabile trovare un nuovo equilibrio tra la valutazione delle statistiche, indispensabile per avere un approccio scientifico e trasparente a temi di fondamentale importanza come salute pubblica ed economia, e la responsabilità politica alla quale tutti sembrano volersi sottrarre. Perché, mai come ora, di amministratori “timidi” non si sente il bisogno.
(Il Riformista)