Cesena, 11 novembre 2020 – Sabato sera in centro storico poco prima del coprifuoco delle 18. Torme di giovani ammassati, si abbracciano festosi come chi si ritrova per miracolo (ora che la pandemia li tiene fuori dalle aule), bocche e nasi a cinque centimetri di distanza, con buona pace del distanziamento fisico. Ma, almeno, hanno la mascherina. Poi, tra piazza Guidazzi e piazza Almerici sfila – il termine è appropriato poiché marciano in formazione serrata e allo stesso ritmo – un gruppo di oltre una quindicina di giovanotti (c’è anche una ragazza) che dell’assenza di mascherine sembrano averne fatto una bandiera. Guardano provocatoriamente in faccia chi ha la ventura di incrociarli e lanciano saluti altisonanti come a farsi notare ad ogni costo. Passa poco dopo una volante delle polizia ma il gruppo è già andato oltre. Stupidità o provocazione negazionista? In ogni caso l’intelligenza sembra a riposo.
Che fare se non scantonare e tenersi alla larga? Frustrazione, mortificazione, preoccupazione e rabbia da parte di chi è costretto a subire. Ma chi sono questi ragazzi che del Covid ne hanno fatto un gioco di provocazione quando non di palese delinquenza, come nel caso della donna a cui un gruppetto di “untori” ha addirittura sputato in faccia? Non è sulla loro identità anagrafica che ci s’interroga sbalorditi, ma sul loro immaginario, sui loro istinti e desideri, sulla costruzione della loro identità profonda di cui nessuno si sente più responsabile, né la scuola, né la famiglia, e figuriamoci la parrocchia.
Lo psicologo
L’unica funzione educativa parrebbe, in questo momento, l’esperienza personale, com’è capitato a tanti negazionisti della prima e dell’ultima ora. Ma come augurare a qualcuno di rischiare la vita? Vale, la repressione, ora che si sentono già in diritto di sventolare come politico un atteggiamento che spesso è solo irresponsabile? E’ una domanda da psicologo. “No – risponde deciso Tommaso Balbi, psicologo responsabile dello Sportello d’ascolto di numerose scuole del comprensorio – la repressione non vale. Per cambiare devono entrare in contatto con le loro emozioni. Non hanno senso certi atteggiamenti forcaioli letti sui social. La strigliata ci vuole, così come la presa di coscienza di ciò che hanno fatto. Ci vuole un lavoro di prevenzione in famiglia e a scuola, che li porti a non negare le proprie emozioni, altrimenti finiscono per esprimerle in maniera deviata”. “Ci sono due aspetti fondamentali – dice ancora Balbi – che ci aiutano a valuta il fenomeno. La struttura della cosiddetta baby gang, in cui il leader agisce e gli altri avvallano tutto quello che fa lusingandolo con le loro risate. E’ un modo per mantenere la relazione sociale tra loro. E’ la dinamica del bullismo, ma qui scivoliamo nel delinquenziale, poiché colpiscono a caso, magari una vittima apparentemente debole. Questi sono ragazzi che hanno perduto il contatto con le regole sociali e con la regolazione emotiva, in questo modo fanno la guerra agli adulti e ai limiti da loro imposti. C’è da parte loro un disimpegno morale che si giustifica nella logica del gruppo”.
“L’altro aspetto – spiega lo psicologo – è il rifiuto della situazione. Sbeffeggiano la morte e la malattia: è una reazione alla paura e alla morte. Hanno una grandissima paura ma, anziché mascherarsi o isolarsi, la negano poiché non riescono ad entrare in contato con il loro mondo emotivo. Cosa fa il ragazzo che non riesce ad ammettere le sue paure? Attacca, diventa provocatorio ed aggressivo”. Chi si assume la legittima responsabilità di fare di ragazzi spaventati uomini consapevoli?
(Il Resto del Carlino)