Una ricerca di Sissa e Università di Roma Tre identifica marcatori narrativi della patologia compulsiva. Dai racconti dati utili per trattamenti e prevenzione. Spiragli per nuovi approcci terapeutici
Le persone con dipendenza patologica da azzardo non vedono il futuro e parlano di sé in forma passiva, come se fossero dominati dal demone del gioco.
Uno studio condotto dalla Sissa di Trieste (Scuola Internazionale Superiori di Studi Avanzati) e Università di Roma Tre ha analizzato per la prima volta in dettaglio le parole e le costruzioni linguistiche usate dai giocatori compulsivi. I ricercatori hanno identificato così alcuni marcatori linguistici e narrativi caratteristici del loro stato emotivo e cognitivo nei diversi stadi della malattia.
Lo studio, pubblicato su Addictive Disorders and Their Treatment, apre nuovi scenari per lo sviluppo di recupero e prevenzione basati su training che addestrino le competenze linguistiche e narrative. Condividere, attraverso il racconto, le proprie esperienze con amici o parenti è un esercizio che tutti facciamo quotidianamente. Eppure le narrazioni personali rappresentano un processo per nulla banale. Ci aiutano a ordinare e ad assegnare un senso alle nostre esperienze, permettono di integrare i diversi aspetti del vissuto psichico, dei diversi tempi in cui vive la nostra mente. In questo modo le narrazioni personali fanno emergere un senso del Sé coerentemente strutturato e di conseguenza contribuiscono alle capacità di regolare le emozioni, di dirigere in modo volontario i nostri comportamenti, di agire in vista di obiettivi futuri desiderati. Sulla base di queste premesse, i ricercatori hanno intervistato 30 soggetti in trattamento per disturbo da gioco d’azzardo, in terapia presso i servizi pubblici per le dipendenze.
Le interviste, realizzate in forma semi-strutturata, riguardavano vari aspetti della loro esperienza, dal carattere compulsivo del gioco, ai tentativi di controllare il desiderio, dai fattori che scatenano la dipendenza a quelli utili a raggiungere l’astinenza e il controllo. Gli studiosi hanno quindi analizzato le parole utilizzate dai pazienti con un software. «Abbiamo così identificato diversi marcatori linguistici delle problematiche emotive e cognitive dei giocatori d’azzardo, che variano nelle diverse fasi della dipendenza», spiega Stefano Canali, ricercatore al Laboratorio Interdisciplinare della Sissa e al Cosmic Lab dell’Università di Roma Tre, che assieme a Francesco Ferretti ha coordinato la ricerca. Il più evidente è l’assenza totale di parole e frasi riferite al futuro. Ciò probabilmente è allo stesso tempo indice e causa della difficoltà che ha il giocatore d’azzardo a pensare agli effetti sul suo domani dei comportamenti impulsivi e rischiosi.
Altro marcatore narrativo sembra essere l’uso contemporaneo di espressioni in prima persona e in forma passiva per raccontare il rapporto col gioco. Le prime indicano il senso di essere agente e responsabile dei comportamenti di gioco. Le seconde esprimono la sensazione di essere agiti, passivi, trascinati dal desiderio e dagli automatismi. Questa contraddittorietà narrativa è indice di una profonda frattura tra i diversi sistemi funzionali che mediano i comportamenti. A questi marcatori si affianca una estrema difficoltà a descrivere i vissuti emotivi legati al desiderio di giocare e alla perdita del controllo».
«Dal punto di vista clinico, i marcatori narrativi possono rappresentare un nuovo strumento di supporto nel processo terapeutico, oltre che un possibile strumento di riconoscimento di soggetti a rischio. Essi aprono inoltre la strada all’impiego di tecniche di potenziamento delle competenze narrative generali come strategie complementari nei percorsi di cura delle dipendenze, in analogia a quelle che si stanno sperimentando ad esempio con i pazienti affetti da autismo», conclude Canali.
(Avvenire)