Ormai sembra cosa certa. O quasi. Le prossime festività non saranno come quelle degli anni passati, la pandemia di Covid-19, che ha flagellato questo 2020, non intende fare sconti nemmeno di fronte alla nascita di Gesù bambino.
La seconda ondata inizia lentamente a sgonfiarsi, ma è troppo forte il rischio di ritrovarci di fronte a una nuova impennata. La lezione dell’estate, passata con troppa leggerezza come se il virus fosse solo un brutto ricordo, sta lì a dirci che non possiamo abbassare la guardia, almeno sino a quando non avremo strumenti per contrastarlo con stabilità ed altrettanta efficacia. Dovremo vivere le feste, il Santo Natale, con un convitato di pietra. Il distacco.
I commenti, spesso anche rabbiosi, hanno cominciato ad alzarsi. L’uso strumentale, politico, della vicenda da parte di alcuni è abbastanza evidente, il rischio è proprio di ridurre tutto alla propria battaglia, o battagliuccia, di partito.
Invece. Ai tanti aspetti negativi – senz’altro quelli economici, commerciali – se ne possono forse individuare alcuni positivi, perlomeno coltivare la speranza che lo siano. È buona abitudine dell’uomo vivo provare a fare di ogni imprevisto una risorsa.
Queste festività vivranno sotto un segno diverso, ci obbligheranno tutti a una maggiore attenzione, frugalità, ci spoglieranno di quelle abitudini che da accessorie sono diventate per tantissimi motivo stesso della celebrazione. Un equivoco sempre più dilagante. Il cenone. I regali. L’enorme macchina di festeggiamenti con cui abbiamo arricchito, infarcito sino quasi a nasconderlo, l’Evento che fonda la ragione di tutto. Una nascita. In un luogo povero, fatto di stenti e difficoltà. Una nascita che cambia l’uomo e il mondo, il tempo.
In questo senso, le privazioni con cui dovremo fare i conti possono essere viste come una spoliazione dell’inutile, di quell’opulenza che mette al centro di tutto tradizioni altre rispetto all’unica che conti veramente. Il dono da fare a tutti i costi, il cibo sino allo sfinimento, spesso il totale distacco, dichiarato, dal motivo stesso della festa. Un interesse al mercato del Natale che non corrisponde minimamente a un amore reale e profondo per la nascita di Cristo. La storia dell’uomo si ripete per inerzia. Abbiamo santificato il mercato e profanato il tempio.
Invece. Non sarà semplice, molti dovranno sfuggire agli agguati della nostalgia, a partire dal sottoscritto, ma l’opportunità è davanti ai nostri occhi e sarebbe un peccato non provare a coglierla.
Spieghiamo ai nostri figli che la festa è altrove, che torneremo alle grandi e allegre tavolate, che quest’anno si festeggerà diversamente, ma si festeggerà lo stesso, forse addirittura con maggiore slancio e soddisfazione. Proviamo a tornare alla grandezza della semplicità. Per onorare la nascita di Gesù bambino serve poco, pochissimo, solo un cuore acceso e una candela per illuminargli la via.
(Avvenire)