27 Novembre, 2024
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La partita del Recovery Fund si fa sempre più complicata

Berlino manda un segnale chiaro al nostro Paese e fa trasparire la preoccupazione per il braccio di ferro interno alla maggioranza, che potrebbe rallentare ulteriormente l’iter, già frenato dal veto ungherese e polacco sullo stato di diritto

Le tensioni politiche italiane e i timori per la tenuta del governo rischiano di complicare la partita europea sul Recovery Fund e mettono in allarme i partner europei. A pochi giorni dal voto parlamentare sulla riforma del Mes e dal vertice dei capi di Stato e di governo Ue, l’Europa guarda con attenzione a quello che succederà a Roma.

La stampa tedesca manda un segnale chiaro al nostro Paese e fa trasparire la preoccupazione di Berlino per il braccio di ferro interno alla maggioranza, che potrebbe rallentare ulteriormente la partita del Recovery Fund, già frenata dal veto ungherese e polacco sullo stato di diritto.

“L’Italia gioca col fuoco”, scrive la Welt. Anzi, “è il paziente a rischio dell’Europa”, incalza lo Spiegel.

Al momento, in vista del vertice dei leader di giovedì e venerdì, Bruxelles si limita a osservare quello che accade a Roma. I circa 209 miliardi tra sussidi e prestiti del Recovery che spettano all’Italia sono solo virtualmente assegnati al nostro Paese (così come agli altri Stati membri Ue), che per ottenerli avrà bisogno di convincere le istituzioni europee con un dettagliato piano di riforme e investimenti da collegare a un calendario di obiettivi da raggiungere.

“Non siamo in ritardo, l’importante è avere un buon piano”, ribadisce il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Tuttavia l’ipotesi che l’Italia possa arrivare senza un governo a febbraio, quando presumibilmente i piani nazionali di riforme saranno inviati alla Commissione, rischia di rendere più difficile la partita europea.

La procedura di approvazione dei “piani per la ripresa e la resilienza” dopo la prima valutazione della Commissione, che può prendere fino a due mesi di tempo, prevede infatti l’assegnazione di un punteggio da parte dell’esecutivo Ue. Il ‘voto’ verrà assegnato in funzione “della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese, nonché del rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resilienza sociale ed economica dello Stato membro”.

L’eventuale valutazione positiva “deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione”, e per questo secondo passaggio Bruxelles assegna altre quattro settimane di tempo.

Solo il semaforo verde delle due istituzioni Ue farà partire il prefinanziamento del 10% dei fondi, ma darà anche il via al tempo assegnato ai Paesi beneficiari dal crono-programma di “target intermedi e finali” compresi nei piani nazionali.

A vigilare sull’effettiva attuazione degli obiettivi previsti sarà il comitato economico e finanziario, composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali e delle banche centrali nazionali, della Banca centrale europea e della Commissione.

La governance del Recovery Fund non contempla dunque alcuna prospettiva di cambio di Governo che possa portare a una revisione parziale o generale dei piani di ripresa e resilienza. Viene invece espressamente disciplinata, questa sì, l’eventualità di “gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali”, cioè il ritardo del Paese nel raggiungere gli obiettivi promessi. In questo caso la questione può essere trattata dai leader in persona durante il primo vertice europeo previsto. Ma fino ad allora “la Commissione non prenderà alcuna decisione relativa al soddisfacente conseguimento dei target e all’approvazione dei pagamenti”.

In altre parole, da un eventuale stallo durante il piano di ripresa potrebbe arrivare uno stop ai fondi da Bruxelles, che tornerebbero virtuali come al punto di partenza. L’unica finestra di revisione del Recovery si apre nel 2022 quando “i piani saranno riesaminati e adattati” al fine di “tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023”. I soldi che non verranno spesi, anche se assegnati all’Italia, resteranno nelle casse Ue.

(Agi)

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