Il pensionato Piercamillo Davigo ha trovato lavoro. Ha provveduto per lui il ministro Alfonso Bonafede.
Il quale, dal suo letto di dolore, in quarantena per essersi troppo accostato alla collega Luciana Lamorgese positiva al covid, ha voluto onorare la giornata di lotta contro la corruzione con una serie di iniziative. Ed essendo il guardasigilli persona semplice, ama le complicazione. Ignorando quindi di essere a capo di un ministero in cui abbondano giuristi (in gran parte magistrati) e tecnici di prim’ordine. Dimenticando l’esistenza di quell’Autorità Nazionale Anticorruzione che fu presieduta, per volere del premier Renzi, da Raffaele Cantone. Fingendo di non sapere che i popoli latini, al contrario di quelli anglosassoni, non amano i traditori e gli spioni.
Ignorando tutto ciò, dal suo letto di dolore causa quarantena, Bonafede ha istituito in un colpo solo un Portale whistleblowing, con annesso gruppo di lavoro per trasformare i cittadini in spioni, e un mega-organismo di sessanta esperti “anticorruzione”, non si sa bene per fare che cosa. Se non per trovare lavoro a Davigo. Il Portale pare destinato a trionfare più nei titoli di giornale che in qualche serio concreto esito. Prima di tutto per sfiducia, proprio in questi giorni in cui, tra l’irridente e l’incazzato, ogni cittadino italiano ha ben chiaro nella testa i risultati dell’applicazione “Immuni”, seguita da “Io” con il suo sogno sempre più sbiadito di conquistare gli agognati centocinquanta euro di rimborso sugli scontrini. Secondariamente perché, salvo qualcuno che, per invidia o antipatia, denunci il proprio vicino di casa o un collega di lavoro, gli italiani non agognano a trasformarsi in ”soffiatori di fischietti” per denunciare le presunte illegalità (di altri) di cui siano venuti a conoscenza.
Ma Bonafede ci crede. Denunciate, denunciate! si affanna a sollecitare. E garantisce che tutto avverrà nell’anonimato, anche perché alle spalle del portale c’è il famoso gruppo di lavoro. E con l’ottimismo della persona semplice (più che quello della volontà), si spinge a vellicare «chi non vuole voltare la testa dall’altra parte, ma intende denunciare», e che «da oggi ha uno strumento in più per farlo, contribuendo così a rendere il ministero con le sue numerose articolazioni un’amministrazione migliore e più integra». Capito, signori magistrati che il Csm palamarizzato ha autorizzato al distacco dal sistema giudiziario al potere esecutivo nel palazzo di via Arenula? È giunta l’ora che noi cittadini spioni contribuiamo a farvi diventare “migliori” e “più integri”.
A tutti noi (impuri e tendenzialmente un po’ corrotti) penserà il dottor Davigo. E insieme a lui altri cinquantanove personaggi che costituiranno la grande “Alleanza contro la corruzione”. Una task-force di cui si sentiva proprio il bisogno, nel momento in cui il premier Conte ha ancora tra le mani la patata bollente dell’altro gruppo di lavoro per gestire i progetti e i fondi del Recovery fund. Li possiamo immaginare, fin dalla prima riunione del nuovo organismo, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino, il presidente della Scuola superiore della magistratura e presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi e tanti altri, insieme anche a qualcuno con cui proprio Davigo ha qualche conto aperto.
Quando, allo scoccare dei suoi 70 anni il 20 ottobre scorso l’ex pm di Mani Pulite fu costretto non solo al pensionamento ma anche all’abbandono della toga che avrebbe voluto continuare a indossare quale membro del Csm, fu anche umiliato da una serie di personaggi che a suo dire gli avevano lasciato intendere di essere favorevoli alla sua permanenza, ma poi lo avevano tradito. Lo ha raccontato lui stesso, qualche tempo dopo il pensionamento, alla trasmissione televisiva Piazza Pulita, condotta da Corrado Formigli, nella quale lo stesso Davigo era una sorta di “commensale abituale”. Era apparso decisamente giù di tono, quella sera, il grande sconfitto, tradito persino da uno come Nino Di Matteo, il suo figlioccio che sedeva nel Csm solo grazie a lui e ai suoi voti.
Ma l’umiliazione più cocente l’aveva subita dai vertici, da quel Davide Ermini, il vice di Mattarella, che evidentemente all’ultimo momento aveva avuto un abboccamento con il Presidente in persona e aveva capito di dover lasciar perdere colui che era diventato solo ingombrante, in un Csm che doveva svoltare dopo le vicende che avevano visto come protagonista Luca Palamara. E anomala aveva dovuto apparire la permanenza nel Csm di uno eletto come togato ma poi rimasto senza toga anche a Giovanni Salvi, procuratore generale presso la cassazione e a Pietro Curzio, della medesima primo presidente. Altri due “Bruti” che lo avevano pugnalato. Perché non mi hanno avvertito? Mi sarei dimesso, aveva lamentato Davigo in trasmissione, guardando negli occhi sconsolato Corrado Formigli.
Ora saranno colleghi nella “Alleanza contro la corruzione”, Davigo e le più alte cariche dello Stato, quelle che lo hanno buttato via come uno straccetto senza neanche dargli l’occasione di dimissioni spontanee, senza l’umiliazione di quei voti contro. Ma si sarebbe dimesso davvero? Non è chiaro. Certo è che, quando l’ex magistrato pensionato siederà insieme agli altri cinquantanove sullo scranno della nuova task-force, avrà molti motivi di imbarazzo. Ma uno in particolare. Anzi, il disagio sarà lui a procurarlo a uno dei suoi nuovi colleghi, Fabrizio Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato. Eh si, perché è proprio a quell’organismo che Davigo si è rivolto il 3 dicembre scorso, nella speranza di essere reintegrato al Csm dopo la bocciatura “per difetto di giurisdizione” avuta dal Tar del Lazio cui aveva fatto ricorso contro la votazione del Csm. E del resto che cosa c’entra il pensionato più coccolato (prima delle umiliazioni) d’Italia con i massimi vertici dello Stato? Non c’entra niente, come del resto a nulla serve questa “Alleanza”, dal momento che per la prevenzione contro la corruzione nella pubblica amministrazione esiste già un altro organismo, quell’Anac voluta da Matteo Renzi quando era premier, che fu presieduta fino a un anno fa da Raffaele Cantone.
Come non essere in questo caso d’accordo con lo stesso Renzi quando dice come sia meglio, invece di moltiplicare le task-force, far funzionare quelle che ci sono già? Sempre ammesso che quella istituita da lui fosse davvero fondamentale per prevenire la corruzione, che non ci pare nel frattempo granché diminuita. Che cosa porta a casa dunque oggi Piercamillo Davigo? Non denaro, perché l’incarico è gratuito, salvo forse, come sempre succede, qualche gettone di presenza e i rimborsi spese. Niente di che. E del resto, lo diciamo senza ironia, quella della ricchezza non pare la sua principale aspirazione. Quella del potere però lo è. E anche quella della visibilità. Poter continuare ad andare in tv a raccontare le sue barzellette, a poter dire che gli innocenti sono colpevoli non ancora scoperti, tutto questo non ha prezzo. E poter ribadire che lui rifarebbe tutto quello che ha fatto in quarant’anni di carriera. Il che per alcuni è preoccupante. Ma si sa, si tratta solo di colpevoli non ancora scoperti
(Il Riformista)