Vive con i genitori a Noto, la sua vita dipende dalle macchine e dalle cure, che però ora gli sono state negate per l’emergenza Covid. L’appello dei genitori Cinzia e Giovanni
La vita appesa alle macchine. E a chi sa usarle. Rimasto quasi solo dai primi di novembre, niente più infermieri specializzati, neanche quelli della cooperativa che lo seguiva, sebbene il suo piano individuale di assistenza domiciliare integrata preveda la presenza ventiquattr’ore su ventiquattro appunto d’un infermiere specializzato.
Sergio ha quindici anni ed è disabile gravissimo per una grossa asfissia al parto. Vive con mamma, papà e un fratello a Noto, provincia di Siracusa. Una macchina lo aiuta a respirare, una seconda lo nutre con sondino, un’altra gli serve per la tosse, l’ultima gli aspira i muchi. A farla breve, la sua vita è in ballo ogni istante.
“Quel che io chiedo – dice Cinzia Mangarano, la madre – che l’assistenza infermieristica ci venga riattivata”. La Azienza sanitaria provinciale di Siracusa ha risposto proponendo un ricovero in ospedale (neanche specializzato) per Sergio e se i genitori non lo accetteranno, l’assistenza domiciliare sarà ridotta a dieci al giorno dal lunedì al venerdì e sei il sabato e la domenica. “Ma lui ha bisogno di personale specializzato, che controlli ad esempio le macchine e i suoi parametri vitali”.
Gli infermieri – spiega il papà, Giovanni Parentignoti – “ci sono stati tolti con la giustificazione dell’emergenza Covid, cioè sono tutti destinati ai pazienti col coronavirus”. Allora dai primi di novembre mamma e papà fanno i turni accanto a Sergio. Notte compresa, addormentandosi sulla sedia accanto lui, lavorando poi di giorno. “Mio figlio e tanti altri ragazzini e adulti sono stati lasciati senza assistenza domiciliare, col pericolo di vita che c’è sempre. Costantemente”.
Eppure è evidente: “L’assistenza infermieristica ci aiuta a vivere”, dice mamma Cinzia. “Aiuta a vivere dignitosamente Sergio”. Tanto più che l’assistenza “è un nostro diritto” ed è “un diritto di nostro figlio”.
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(Avvenire)