23 Dicembre, 2024
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“Marchetta da 500 milioni a Philip Morris”, tra grillini scoppia la guerra tra bande

Chi dice che a Natale siamo tutti più buoni non frequenta le chat dei Cinque Stelle.

Sul gruppo Whatsapp M5S-Governo ieri circolavano più insulti e minacce che auguri di buone Feste.  Pare infatti che ai governisti sia andata di traverso l’intervista del recalcitrante sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa al nostro giornale. «Autorevoli fonti pentastellate – avvisa AdnKronos – dicono che Crimi sia su tutte le furie».

Duro l’affondo del capo politico nei confronti del sottosegretario all’Economia: «Se pensi che nel governo ci siano “manine amiche” devi dirlo apertamente facendo nomi e cognomi», il ragionamento espresso dal capo politico nella chat di governo, secondo quanto viene riferito dalle stesse fonti. La replica di Villarosa non si fa attendere: «Stai portando il M5S al macero, dimettiti». Già in passato il sottosegretario siciliano aveva manifestato anche pubblicamente il suo malcontento verso la gestione del Movimento 5 Stelle targata Crimi, chiedendo a gran voce un voto su Rousseau per eleggere un nuovo capo politico.

Concetti che Villarosa è tornato a ribadire oggi nell’intemerata rivolta al capo politico: «Sei scaduto da mesi – insiste il sottosegretario – e non c’è ancora la data delle elezioni per l’organo collegiale, stai distruggendo tutto». Crimi rimpalla: «In questo governo ci sei anche tu, se pensi ci siano “manine amiche” dimettiti e ricordati di chiudere la porta, non te l’ha prescritto il medico». La polemica sul favore fatto alle grandi multinazionali del tabacco non si placa, e dalle chat interne arriva anche sui banchi di Montecitorio. «In questa manovra c’è una connotazione che copre tutto il resto: la marchetta da 500 milioni di euro per Philip Morris», fa mettere a verbale l’on.Raffaele Trano, ex M5S oggi al misto.  Il Movimento è ben più diviso che tra soli puristi e governisti.

Balcanizzato in clan territoriali e correnti vicine ai Big: «La più potente al momento è quella dei Campani, la corrente di Di Maio», ci dice all’orecchio un deputato che non vi appartiene più. «Ma paradossalmente la corrente dei Campani non sta con Fico, né con Costa». E guarda con sospetto all’emancipazione del premier. Giuseppe Conte sta costruendo il suo partito, non fatto di tessere e distintivi ma di relazioni, promozioni e nomine. Il portavoce Casalino – ci dicono dal Movimento – lavora per Conte a un progetto suo. Il grillismo, visto da Palazzo Chigi, è già storia passata.  Questa settimana i sondaggi li tagliano di un altro mezzo punto: Swg attesta il M5S al 14,3% (era 32,7% alle ultime politiche). Vito Crimi è reggente provvisorio da quasi un anno – venne nominato nel gennaio scorso – e sotto la sua gestione la cupio dissolvi dei pentastellati è diventata l’unico punto certo del Movimento.

Tra i bilanci di fine anno va fatto anche quello dei grillini che hanno cambiato casacca: uno su sei; il record nella storia parlamentare repubblicana. 55 in tutto tra deputati e senatori hanno voltato le spalle al Movimento per aderire – loro che non sopportavano i partiti – a tutte le altre sigle presenti alle Camere, con la sola eccezione del Svp tirolese. In quattro al Senato con la Lega, in tre con il Pd, e via via ben disseminati ovunque vi fosse un riparo ospitale.
L’assoluzione della sindaca di Roma non aiuta. Mentre Virginia Raggi celebra il suo successo giudiziario rinfacciando al Movimento di averla lasciata sola, chi aveva sondato Pierpaolo Sileri per chiedergli di correre per il Campidoglio con i vessilli di una coalizione M5S-Pd-Leu oggi fa spallucce. Con lei in campo, il disegno di Franceschini sfumerebbe.

E pare si cerchi riparo in una offerta da prospettarle affinché Raggi cambi programmi. Promoveatur ut amoveatur.
Il Movimento di lotta e di governo, partito-azienda con le multinazionali più ricche e frangia antagonista in Val di Susa, non riesce a darsi una direzione. Prova a tenersi unito assestando qualche colpo dell’ultimo minuto, come accaduto ieri in commissione Trasporti alla Camera, sulla Tav.

«Al momento della votazione del parere di maggioranza – denuncia Luciano Nobili, Italia Viva – redatto dal collega Gariglio sul contratto di programma per la prosecuzione dei lavori della Tav Torino-Lione, sostenuto dal governo, il M5S ha espresso prima parere contrario, poi presentato un parere negativo – alternativo a quello della maggioranza – e una volta che è stato bocciato dal rappresentante del governo, ha abbandonato l’aula». Hanno tirato il pacco, insomma. D’altronde è Natale.

(Il Riformista)

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