Stan Swamy è sacerdote e gesuita, 83 anni, malato di Parkinson incarcerato a Taloja, in India, per la sua attività a sostegno della minoranza Adivasi (letteramente in hindi “abitanti originari”) perseguitata e privata delle proprie terre. (Per saperne di più clicca qui).
La sua poesia
Dietro avvilenti sbarre di prigione
privato di ogni cosa
ma non dell’essenziale
Il “tu” viene prima
l’“io” viene dopo
il “noi” è l’aria che si respira
Niente è mio
niente è tuo
tutto è nostro
Il cibo che avanza non si butta
lo condividono gli uccelli del cielo
che volano dentro, si nutrono e felici van via
Addolorano così tanti volti giovani
e quando chiedi: “Perché sei qui?”
parlano chiaro, senza mezzi termini
Da ciascuno secondo le proprie capacità
a ciascuno secondo i propri bisogni
secondo l’idea della nostra Costituzione
Ecco, questa comunione è forgiata dalla costrizione
ma se solo ogni umano l’abbracciasse in libera scelta
tutti davvero tornerebbero come bambini sulla Madre Terra
Stan Swamy
(traduzione di Angela Napoletano e Marco Tarquinio)
(Avvenire)